La notizia non è ancora stata confermata ma si sta diffondendo a macchia d’olio sui social network. Tremaine Emory avrebbe lasciato il ruolo di direttore creativo di Supreme dopo appena 18 mesi dalla nomina. A diffondere l’indiscrezione sono state le testate specializzate nel segmento streetwear tra cui Hypebeast, allarmando i tanti fan del designer e del marchio in orbita Vf. Corp. noto per le sue numerose collaborazioni. Emory è il primo a ricoprire il ruolo di direttore creativo per il brand fondato nel 1994 da James Jebbia.
All’inizio dell’anno lo stilista ha parlato apertamente del suo periodo di ricovero in ospedale a causa di un aneurisma. Le cause del suo addio a Supreme potrebbero quindi essere legate a motivi di salute.
Emory ha finora realizzato due collezioni per il marchio, la primavera/estate 2023 e l’autunno/inverno 2023-24, riscuotendo un buon successo di critica, attivando collaborazioni con Coogi, Cynthia Lu, Nba YoungBoy e altri. Parallelamente lo stilista porta avanti numerosi progetti personali con marchi del lusso; sua la capsule ‘Dior Tears’ nata dalla partnership tra il proprio brand Denim Tears e Dior. Emory è anche fondatore e co-direttore creativo di No Vacancy Inn, agenzia che unisce musica, moda e vita notturna che ha contribuito a stabilire la sua reputazione di poliedrico provocatore culturale e attraverso il quale ha lanciato pochi mesi fa una capsule in collaborazione con Marni. Nel suo background non mancano poi contatti con big name del calibro di Virgil Abloh, Ye e Levi’s.
Supreme è stato acquisito da Vf Corp. nel 2020 con un accordo, secondo quanto riportava Bloomberg, di 2,1 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di euro), cifra che inquadra la più grande acquisizione del gruppo americano dopo quella di Timberland nel 2011 (allora erano stati spesi 2,3 miliardi).
Supreme ha chiuso lo scorso full year con una flessione del 2% sulle vendite e un fatturato (per l’anno conclusosi a marzo 2023) di 523,1 milioni di dollari, in calo rispetto ai 561,5 milioni di dollari dello stesso periodo dell’anno precedente (da circa 519 milioni di euro a circa 484 milioni). In negativo anche la redditività, dove l’utile netto è sceso a 64,8 milioni di dollari rispetto agli 82,4 milioni dell’anno precedente.
Un risultato molto al di sotto delle aspettative per il gigante dello streetwear newyorkese, le cui stime per il 2022, secondo quanto previsto dalla casa madre, puntavano a un giro di affari di 600 milioni di dollari. Un obiettivo che seguiva a sua volta le previsioni post acquisizione: quando il brand è entrato a far parte del gruppo americano (proprietario, tra gli altri di, The North Face, Timberland e Vans), si stimava un’opportunità globale da 1 miliardo di dollari nel medio periodo, legata soprattutto alle vendite all’estero e direct-to-consumer.
L’addio di Emory è solo l’ultimo di una lunga serie di separazioni che hanno interessato il fashion world negli ultimi mesi a partire dal divorzio tra Gucci e Alessandro Michele, che ha proseguito poi – in ordine – con gli addii di Jeremy Scott da Moschino, Serhat Işık e Benjamin A. Huseby da Trussardi, Bruno Sialelli da Lanvin, Charles de Vilmorin da Rochas, Rhuigi Villaseñor da Bally, Gabriela Hearst da Chloé, Walter Chiapponi da Tod’s.