Dagli anni trascorsi da Moncler, prima in ufficio stampa e poi come direttore artistico, all’idea di un progetto fotografico dal nome Palm Angels, che voleva raccontare l’estetica degli skater di Los Angeles, al lancio del marchio omonimo e della prima collezione nel 2015 fino all’ingresso in Ngg (New Guards Group) e successivamente in Farfetch. Dal palco del 28° Pambianco-PwC Fashion Summit Francesco Ragazzi, fondatore e direttore creativo di Palm Angels, ripercorre gli step della sua carriera analizzando il panorama moda di oggi.
Partiamo dall’inizio, dalla tua storia: come sei arrivato a Palm Angels?
Il mio percorso nel mondo della moda è iniziato all’età di 22 anni con uno stage nell’ufficio stampa di Moncler, un ruolo che non mi si addiceva molto ma che mi ha permesso di iniziare a comprendere il settore. Inizialmente volevo fare il fotografo, e le mia promessa in realtà era stata quelli di lasciare al più presto quel posto di lavoro per poi tornare a dedicarmi alla fotografia. Invece, alla fine, da Moncler ho trascorso 12 anni, lavorando successivamente come direttore artistico e avendo la possibilità di lavorare a stretto contatto con grandi fotografi e con un grande visionario, Remo Ruffini (presidente e AD di Moncler, ndr) che mi ha dato la possibilità di diventare chi sono oggi. Poi, come dopo ogni grande storia, sia ha la necessità di esprimersi con la propria creatività e con qualcosa che senti tuo. A quel punto c’è stato quindi per me un ritorno alla fotografia: tramite un progetto fotografico denominato Palm Angels, che voleva raccontare l’estetica degli skater di Los Angeles, ho fatto un libro assieme a Rizzoli e successivamente altri progetti, tra cui una mostra. Ancora prima di aver creato una collezione avevo creato un brand. Il libro è stato lanciato nel 2014, la prima collezione è nata poco dopo, nel 2015.
Quindi inizialmente lavoravi su entrambi i fronti…
Si, per i primi tre anni i miei orari sono stati: fino alle sette di sera da Moncler e poi fino a mezzanotte, alle volte le due, da Palm Angels. L’esperienza in Moncler mi ha aiutato a vedere come cresce un brand, con tutte le difficoltà che seguono. Sotto la guida di Ruffini siamo passati da risultati come 40 milioni di euro di fatturato fino alla quotazione in Borsa. Seppur in maniera diversa, è la strada che sto cercando di percorrere con Palm Angels.
Tu hai un punto di vista privilegiato: sei sia il fondatore che il direttore creativo del tuo marchio. Stilisticamente parlando, che momento stiamo vivendo oggi?
A me ha sempre appassionato sia la parte creativa che la parte di business, anche perché attualmente non puoi avere una senza l’altra, soprattutto in un periodo di ‘stallo’ del lusso. Oggi si parla molto di ‘quiet luxury’ ma io rimango abbastanza critico: penso che il sistema moda si parli molto addosso. Ovviamente ci sono dei marchi che in questo momento, visto il trend, stanno facendo molto bene, ma ci sono anche player che non seguendo le tendenze fanno numeri molto più grossi. Secondo me bisogna essere sempre abbastanza cauti, anche perché quello dei trend è un sistema estremamente volatile e ciclico, mentre la cosa più importante è rimanere se stessi ed avere un’identità forte. Bisogna non guardarsi troppo intorno.
Qual è il dna di Palm Angels?
Il mio modo di lavorare consiste nel cercare di mettere insieme degli elementi che naturalmente non fanno parte gli uni degli altri. Palm Angels è il mio punto di vista, da italiano, sulla cultura americana Ho impostato il lavoro sul creare un luxury streetwear dove da una parte c’è quello che viene dal mondo della strada, che la gente indossa quotidianamente, e dall’altra c’è l’applicazione al mondo del lusso, che segue il mio amore per il made in Italy. Siamo un marchio italiano ma con una mentalità global.
Prima con Ngg ed oggi con Farfetch, quanto è stato importante per voi fare parte di un gruppo, passando da uno più piccolo ad uno più grande?
Quando è nato Palm Angels non esisteva neanche il gruppo. Però sicuramente fare parte della stessa galassia di questi brand (a Farfetch fanno capo, tra gli altri, anche Marcelo Burlon County of Milan, Off-White, Heron Preston ed Alanui, ndr.) ha aiutato perché c’era una piattaforma. Ngg è servita come rampa di lancio, come ‘facilitatore’, cercando di mantenere sempre al suo interno una visione. In aggiunta, mi interfacciavo con persone come Virgil Abloh (founder e direttore creativo di Off-White oltre che ex direttore creativo del menswear di Louis Vuitton, ndr.), che ha costruito un marchio molto forte, oltre a far parte del team di Vuitton, ed è riuscito a portare ad un livello più ‘global’ quello che stavamo tutti facendo in termini di gruppo.
Alla luce della tua visione per il brand, quali saranno le future fasi di sviluppo?
Ad incidere per l’80% sul nostro fatturato, che è arrivato a superare i 100 milioni di euro, è il ready-to-wear uomo. Abbiamo quindi un possibilità di crescita sia nel segmento donna che negli accessori, partendo dalle sneakers fino all’eyewear. Vogliamo affermarci in Cina, che per noi attualmente è un mercato quasi nullo, e complessivamente in Asia. Abbiamo infatti appena aperto un negozio a Seoul sperando che diventi presto una grossa fetta del nostro business. Attualmente abbiamo 13 punti vendita, distribuiti tra quelli di proprietà e quelli in franchising. Abbiamo appena aperto a New York, Parigi, Milano, Miami e Las Vegas. Mentre tra la fine di quest’anno ed inizio 2024 inaugureremo un nuovo store ad Orange County, in California, in uno dei mall che ‘performa’ di più al mondo.
Tornando ai trend di mercato, negli ultimi anni sono esplose le collaborazioni. Voi siete sicuramente tra i brand che le utilizzano. A cosa servono in un’ottica di business?
Tornando indietro nella mia carriera, le prime collabo probabilmente risalgono al 2009 con Pharrell Williams (attuale direttore creativo del menswear di Louis Vuitton, ndr.), Virgil e Thom Browne. Per me servono, ad un marchio relativamente giovane come può appunto essere Palm Angels, per abbracciare una categoria di compratori che non si ha in quel momento. A noi, ad esempio, Moncler serve per una parte di outwear che non abbiamo e che è molto importante, Tod’s si presta per entrare nella parte più formale, Missoni per la donna e Vilebrequin per il resort. Abbiamo fatto delle collaborazioni che servissero al nostro business e che fossero un ‘win-win’ per entrambe le parti. Per me è importante lavorare con dei brand che hanno un forte dna, mi piace interpretare qualcosa che sia estremamente conosciuto, un prodotto iconico, e cambiarne il volto.