Arrivata in netto anticipo sull’obbligo della differenziata, l’Italia resta ferma un giro sulla ‘Responsabilità estesa del produttore’, in attesa delle norme armonizzate da Bruxelles. Ma l’iter legislativo richiederà almeno un anno.
Che il futuro della filiera fashion si giocasse a partire dalla fine era ormai chiaro, ma ora la partita sui rifiuti tessili è entrata nel vivo. E mentre in Europa si tirano le fila dell’ormai imminente ‘Epr’, gli Stati membri si preparano per farsi trovare pronti al nuovo regime green che investirà il mondo del tessile-abbigliamento. L’Italia non ha fatto eccezione: già capofila nell’applicazione dell’obbligo della raccolta differenziata per i tessuti giunti a fine vita, partito nel 2022 bruciando di tre anni la scadenza europea con non poche complicazioni burocratiche, il Belpaese ha tentato anche sul fronte ‘Epr’ di giocare d’anticipo, ma senza riuscirci. Intanto, a luglio è stata presentata a Bruxelles la proposta di revisione della direttiva quadra europea del 2018.
Uno sviluppo che segna una svolta nell’iter verso l’imporsi dell’atteso regime ‘Epr’, non tanto dal punto di vista concettuale (ancora in fieri) quanto da quello legislativo: il tempo utile per anticipare le direttive Ue è scaduto, e per gli Stati membri che non lo abbiano fatto (quasi tutti) non resta che aspettarle per adattarvisi. la corsa dell’italia Come in un gioco delle sedie, allo scoccare della proposta di emendamento a Bruxelles i progetti nazionali si sono dovuti arrestare. Per quanto riguarda l’Italia, lo scorso febbraio era stata avviata la consultazione sullo schema di decreto del ministero dell’Ambiente che avrebbe introdotto la regolamentazione per gli operatori del tessile, prefigurando l’istituzione di un centro di coordinamento, il Corit. La bozza è stata poi accantonata sia per le criticità emerse in fase di stesura in termini di modalità di raccolta contemplate e soggetti interessati sia, verosimilmente, in attesa del deus ex machina comunitario, che si farà attendere ancora almeno un anno.
Quella che si è aperta ora, infatti, è una fase di definizione delle posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio, che lascerà in seguito il posto alle negoziazioni fino alla pubblicazione del testo definitivo. “Nel migliore degli scenari – ha spiegato a Pambianco Magazine Mauro Scalia, director sustainable businesses di Euratex, associazione europea dell’industria tessile e dell’abbigliamento – arriverà entro l’estate dell’anno prossimo, per poi venire recipito dagli Stati membri per un periodo di transizione della durata compresa tra i 18 e i 30 mesi, entro il quale le legislazioni nazionali provvederanno ad adattarsi”. L’Europa, dunque, è nel pieno sviluppo dei contenuti riguardo alle norme che ruotano intorno al principio della ‘Responsabilità estesa del produttore’ (Epr, appunto), che impone alle aziende di farsi carico dell’intero ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato. Una rivoluzione copernicana che investirà l’intero fashion system, il cui vero tallone d’Achille in fatto di sostenibilità, ormai è noto, è proprio rappresentato da sprechi e rifiuti.
Basti pensare che l’Unione europea genera 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno e abbigliamento e calzature rappresentano da soli 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, pari a 12 chili annuali pro capite. Attualmente, solo il 22% dei rifiuti tessili post-consumo viene differenziato per essere riutilizzato o riciclato, mentre il resto è spesso incenerito o collocato in discarica. Guardando nello specifico all’Italia, secondo i dati più recenti, raccolti nell’ultimo report disponibile Mite-Ispra, nel 2021 i rifiuti tessili smaltiti, censiti ufficialmente, sono ammontati a circa 480mila tonnellate. Di queste, 284mila tonnellate sono rifiuti industriali della filiera tessile (pre-consumo), scarti di taglio e abbigliamento. Quelli invece raccolti dai rifiuti urbani (post-consumo) sono arrivati a quota 146mila tonnellate. Anche i numeri concorrono a restituire l’idea dell’urgenza della tematica per l’intera filiera, a livello comunitario così come nazionale.
Tutti, o quasi, in attesa
Se quasi tutti i Paesi sono rimasti al palo, qualche eccezione tra le stelle dell’Unione europea c’è: Francia, Olanda e Ungheria sono infatti riuscite a bruciare le tappe e imbastire, prima del mese di luglio, il proprio sistema ‘Epr’ nazionale, eventualmente da aggiornare in seguito all’approvazione di quello europeo. Se la prima è stata la Francia, con un regime improntato alla responsabilità estesa del produttore entrato in vigore ad aprile, significativo il caso dell’Olanda, che ne ha seguito le tracce a luglio, appena prima delle consultazioni comunitarie in Belgio, implementando il proprio sistema nazionale secondo cui i produttori di abbigliamento sul territorio olandese diventano responsabili della fase di raccolta, riciclaggio, riutilizzo e smaltimento dei prodotti che immettono sul mercato. “Si tratta di una caso interessante – spiega ancora Scalia di Euratex – perché la legge è entrata in vigore proprio qualche giorno prima della presentazione del pacchetto in Commissione”.
E riguardo al treno perso dal Belpaese, prosegue: “È un peccato anche dal punto di vista operativo perché l’Italia aveva già messo in atto delle azioni preparatorie, che se avessero trovato una concretizzazione prima dell’estate si sarebbero trasformate in un vantaggio spendibile”. Aggiungendo che quel che resta comunque cruciale ora è l’attuazione di misure preparatorie, attraverso l’operato di consorzi ed enti, per non farsi trovare impreparati. Il terreno è sicuramente fertile, tra un humus ricco di player nascenti e investimenti che, attingendo dal Pnrr (sono 150 i milioni stanziati per il riciclo tessile dal governo), scommettono su progetti pionieristici come il textile hub di Prato. Intanto, per l’inizio di giugno 2024 sono attese in Europa le prossime elezioni. Il rinnovo del Parlamento non rappresenta di per sé un ostacolo all’iter del pacchetto ‘verde’, che se andasse oltre la data della chiamata alle urne finirebbe però inevitabilmente nelle mani del mandato successivo. Difficile, però, immaginare uno scenario che veda ridimensionarsi significativamente la spinta trasformativa del Green Deal.