L’Europa è impegnata a tirare le fila dell’ormai imminente regime ‘Epr’, ovvero di ‘responsabilità estesa del produttore’, che impone alle aziende di farsi carico dell’intero ciclo di vita dei prodotti immessi sul mercato. Una rivoluzione copernicana che investirà l’intero fashion system, il cui vero tallone d’Achille in fatto di sostenibilità, ormai è noto, è proprio rappresentato da sprechi e rifiuti.
Per cogliere l’entità del tema, basti pensare che l’Unione europea genera 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili all’anno e abbigliamento e calzature rappresentano da soli 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, pari a 12 chili annuali pro capite. Attualmente, solo il 22% dei rifiuti tessili post-consumo viene differenziato per essere riutilizzato o riciclato, mentre il resto è spesso incenerito o collocato in discarica. Guardando nello specifico all’Italia, secondo i dati più recenti, raccolti nell’ultimo report disponibile Mite–Ispra, nel 2021 i rifiuti tessili smaltiti, censiti ufficialmente, sono ammontati a circa 480mila tonnellate. Di queste, 284mila tonnellate sono rifiuti industriali della filiera tessile (pre-consumo), scarti di taglio e abbigliamento. Quelli invece raccolti dai rifiuti urbani (post-consumo) sono arrivati a quota 146mila tonnellate. Anche i numeri concorrono a restituire l’idea dell’urgenza della tematica per l’intera filiera, a livello europeo così come nazionale.
In questo scenario, gli Stati membri si preparano per farsi trovare pronti al nuovo regime green che investirà il settore. L’Italia non ha fatto eccezione: già capofila nell’applicazione dell’obbligo della raccolta differenziata per i tessuti giunti a fine vita, partito nel 2022 bruciando di tre anni la scadenza europea con non poche complicazioni burocratiche, il Belpaese ha tentato anche sul fronte ‘Epr’ di giocare d’anticipo, ma senza riuscirci. Intanto, a luglio è stata presentata a Bruxelles la proposta di revisione della direttiva quadra europea del 2018 e, al momento, tutti i Paesi che non fossero già riusciti a imbastire un proprio sistema ‘Epr’ nazionale (quasi tutti, tranne le virtuose Francia, Olanda e Ungheria) restano al palo, in attesa del pacchetto europeo. Ci vorrà almeno un anno prima che trovi compimento e, intanto, agli Stati membri non resta che mettere in atto misure ed enti ad hoc per non farsi trovare impreparati.
A fare ulteriormente luce sul tema ormai, ormai universalmente riconosciuto come una vera e propria emergenza per il settore, è la denuncia del gruppo locale per i diritti umani The Cambodian League for the Promotion and Defense of Human Rights, meglio conosciuto con il suo acronimo francese Licadho, secondo cui i rifiuti tessili di almeno 19 marchi internazionali alimentano le fornaci delle fabbriche di mattoni in Cambogia, con conseguenze drammatiche sulla salute dei lavoratori. Licadho, si legge su Reuters, ha documentato le visite a 21 fabbriche nella capitale cambogiana Phnom Penh e nella vicina provincia di Kandal, tra aprile e settembre. A corredo, interviste con gli attuali ed ex lavoratori.
È stato scoperto che i rifiuti di indumenti pre-consumo, tra cui tessuti, plastica, gomma e altri materiali dei brand coinvolti, tra cui Adidas, Walmart, Primark e Under Armour, venivano bruciati in sette stabilimenti, che se ne servivano per risparmiare sui costi del carburante. “Diversi lavoratori – dichiara il rapporto – hanno riferito che bruciare i rifiuti degli indumenti ha causato loro mal di testa e problemi respiratori. Una dipendente incinta ha riferito malesseri durante la gravidanza”.
La combustione di rifiuti tessili, infatti, può rilasciare sostanze tossiche in condizioni di sicurezza non ottimali, tra cui la diossina, responsabile dell’insorgenza di alcuni tumori. Da non sottovalutare anche l’inquinamento generato dalle ceneri inevitabilmente rilasciate dal processo, secondo uno studio del 2020 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Pnus), che ha misurato le emissioni degli inceneritori delle fabbriche di abbigliamento in Cambogia che smaltiscono indumenti, riporta ancora l’agenzia di stampa.
Alcuni dei brandi coinvolti hanno dichiarato di avere avviato delle indagini sull’anello incriminato della propria supply chain, nel tentativo di individuare eventuali deviazioni dai percorsi di smaltimento autorizzati.
Il tema dei rifiuti tessili e della ‘partita normativa’ sul regime Epr, in Italia ed Europa, è parte di un approfondimento più ampio contenuto nell’ultimo numero di Pambianco Magazine.