«All'inizio non ci rendevamo conto di cosa stavamo facendo e il successo di oggi non era assolutamente previsto». Così Claudio Orrea, fondatore della Tessilform con la moglie Patrizia Bambi, è diventato l'anima creativa della griffe fiorentina Patrizia Pepe.
Dal punto di vista organizzativo come nasce un vestito Patrizia Pepe?
Dalla creatività di Patrizia e dai suoi dieci collaboratori. I contenuti stilistici sono al primo posto nel successo della nostra azienda. Noi facciamo il cosiddetto pronto, ossia ogni settimana abbiamo tra 10 e 15 modelli nuovi nei centri diffusione. È il nostro modo di rispondere alla difficoltà del dettagliante di acquistare a lungo termine. Il negoziante, finora, comprava a gennaio vestiti e colori che gli vengono consegnati a settembre, quando magari il colore da lui scelto non va e invece ne va un altro. Si ritrova quindi in casa della merce da vendere che nessuno vuole. Io lo dico sempre ai miei 700 clienti italiani: comprate poco, provate con un solo capo e mettetelo in vetrina. Se lo vendete vuol dire che commercialmente va e allora lo riacquistate. Comprare solo ciò che si vende è un'informazione importante per noi e buona anche per loro.
Come fate a reggere un ritmo di produzione così alto?
Grazie a un sistema produttivo snellissimo e a un metodo decisionale molto rapido. E, ovviamente, grazie alla capillarità del nostro sistema distributivo, uno per Regione, che avvicina il luogo di riapprovvigionamento a pochi chilometri dal negoziante. Una struttura che altri c'invidiano ma che a noi è sembrato naturale sviluppare così.
Come fate, però, per i clienti all'estero?
È proprio per loro che abbiamo creato le collezioni. Ci siamo stati in qualche modo costretti perché, non ne so il motivo, ma i clienti esteri non riescono ad abituarsi al nostro veloce sistema di acquisto e di logistica e preferiscono la vecchia maniera della programmazione a lunga distanza. Noi comunque insistiamo: abbiamo otto centri di diffusione in Europa e siamo presenti con partner in Cina, Russia e Giappone. Oggi l'estero corrisponde al 45% del nostro fatturato e puntiamo a farlo diventare sempre più importante.
Paura della Cina?
Tutt'altro. Per noi è una grossa opportunità. Siamo presenti con un partner di Hong Kong, che ha 4 negozi in quella città e una dozzina in Cina. Paura della concorrenza per i nostri prodotti non ne abbiamo di certo. Abbiamo un grosso reparto che controlla la qualità del prodotto per poterlo garantire in ogni istante al cliente. Anzi, da sempre diamo al cliente finale la sostituzione del capo che si è rovinato, magari per un lavaggio sbagliato.
E il mercato americano non la tenta?
È un mercato che va affrontato con attenzione perché anche lì vogliamo avere una presenza diretta e replicare il nostro modo di fare. Quindi servono le persone giuste, gli spazi da dedicare esclusivamente a quel mercato, i grossi investimenti. Non è una scelta facile. Forse tra un anno ci riusciremo.
Estratto da Economy del 26/05/06 a cura di Pambianconews