Non vuole scontentare proprio nessuno Tommy Hilfiger, stilista d’oltreoceano che si contende con l’aristocratico Ralph Lauren e lo schivo Calvin Klein lo scettro di sovrano del made in Usa. Chi sceglie il suo stile, non teme di essere individuato. Anzi. Con questa filosofia, il marchio dalla bandierina stilizzata bianca, rossa e blu, ha appena completato il suo piano di espansione in Europa. E per farlo meglio, ha strappato da pochi mesi al colosso italiano Diesel un manager di talento come Armin Broger, già in forze alla Walt Disney Company, che oggi presidia il quartier generale di Amsterdam in un’elegante palazzina primi Novecento ex sede della casa d’aste Sothebv’s. Obiettivo: 200 milioni di euro fatturati entro l’anno, grazie soprattutto al segmento denim.
Ora Hilfiger vorrebbe piantare una bandierina anche in cima al colle del Quirinale. «In Italia abbiamo tre megastore monomarca a Torino. Catania e Rimini, un nuovo show room a Milano, inaugurato il 18 febbraio e, prossimamente, uno a Roma”, anticipa lo stilista. «La tabella di marcia prevede l’apertura di una ventina di negozi entro due anni. è ancora presto, invece, per parlare di debutto sulle passerelle milanesi. Certo, se il successo di pubblico sarà lo stesso decretato per le nostre prime fragranze Tommy e Tommy Girl (che nel 2001 sono cresciute in Italia rispettivamente del 42 e del 58 per cento, potremmo cambiare idea’’.
Oggi il suo impero quotato in Borsa, diviso guarda caso con tre soci che si occupano della parte commerciale e finanziaria, ha un giro d’affari pari a circa un miliardo e 880 milioni di dollari. E, dopo la tragedia americana dell’11 settembre, nonostante la crisi dei consumi,il marchio a stelle e strisce ha fatto sua una filosofia culturale e commerciale vincente.