Il retail delle aziende vinicole? Da Vinitaly la conferma: pochi wine bar, molti più format abbinati al cibo. La vera sfida, finora, si è giocata in cantina con l’incoming.
Il mondo del vino ammicca al retail, anche se sembra ancora presto per concedersi pienamente. Quanto emerso dall’ultimo Vinitaly, conferma: la distribuzione in calice si accompagna ancora a formule miste con cibo e accoglienza, necessarie a valorizzare le etichette. Negli ultimi anni, infatti, con il potenziamento dei brand, non sono mancate le aperture in location a elevata visibilità come aeroporti, stazioni ferroviarie e centri storici. Ma il risultato è ancora più simile a un investimento d’immagine, tipo flagship, che a una formula da replicare a livello globale, tanto più in termini di wine bar o monomarca. In questo ambito, spiccano poche eccezioni: tra queste, Moncaro in Cina con tredici insegne e Ferrari Spazio Bollicine con quattro location in Italia.
A TAVOLA CON IL CALICE
Esistono invece diversi esempi nella ristorazione con mescita, da Vyta Santa Margherita in Italia (dieci locali posizionati perlopiù nelle principali stazioni) al format romagnolo “Tot i de” (quattro aperture tra Giappone, Corea e Cina) lanciato dal gruppo Cevico. E sempre alla ristorazione sono legati gli investimenti effettuati dai due gruppi nobili del vino italiano, Antinori e Frescobaldi. Il primo ha puntato sul brand Cantinetta, nato a Firenze e replicato a Singapore, Mosca e Vienna, cui si è poi aggiunto Procacci, storica gastronomia di via Tornabuoni a Firenze. L’incidenza del retail sul fatturato del gruppo italiano leader nell’alta gamma dei vini si aggira sul 10%, con ebitda più contenuto rispetto al wine, ma crea il contesto più adatto per vendere i vini a marchio Antinori. Quanto a Frescobaldi, il progetto fine dining è partito sempre da Firenze per poi essere replicato a Londra, nel quartiere di Mayfair, senza comunque voler creare una catena di ristorazione dallo sviluppo rapido. Tra questi ed altri esempi, emerge un concetto di fondo: il vino, a differenza della moda, fatica ad adottare politiche massive di store aziendali perché è un prodotto che si presta a essere consumato in abbinamento ai cibi, quando avviene una parte fondamentale del processo di conoscenza dell’etichetta. “I ristoranti italiani sono i nostri primi ambasciatori nel mondo”, riconosce Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola e numero uno di Federvini, che pure ha avviato un percorso denominato Masi Wine Experience all’interno del quale sono stati aperti due wine bar che servono le etichette del gruppo, a Zurigo e a Lazise del Garda; tuttavia, per quanto Boscaini consideri il rapporto con il consumatore finale uno dei tre pilastri della strategia aziendale, appare evidente che il vero perno della fidelizzazione del consumatore consista nell’attività di incoming. “Le nostre cantine – sottolinea il re dell’Amarone – stanno diventando un palcoscenico del vino, le tenute dei veri e propri giardini di accoglienza. Ci stiamo attrezzando con sale di assaggi, strutture interne di rivendita e ambienti museali come il Wine Discovery Museum che apriremo a breve”.
L’AFFARE WINE LOVERS
L’esempio Masi non è isolato. Gli investimenti in accoglienza rappresentano oggi un must per il mondo vinicolo, stimolato da quanto sta accadendo in Francia ed è già avvenuto negli Stati Uniti, dove per visitare le grandi realtà della Napa Valley occorre prenotare con mesi d’anticipo. E i risultati, in termini economici, sono consequenziali. In Virginia, dove controlla un’azienda a Barboursville, il gruppo Zonin accoglie oltre 80mila wine lovers l’anno in azienda e riesce a piazzare il 60% della produzione attraverso la vendita diretta. Il sistema porta denaro immediato e certo, con margini superiori a quelli della distribuzione tradizionale, e assicura gli introiti legati a hotellerie e ristorazione. Pur essendo partita in ritardo, l’Italia già può vantare casi di eccellenza, da Duca di Salaparuta in Sicilia (13 milioni di euro investiti, 55mila presenze) a Mezzacorona in Trentino (44mila ingressi nell’ultimo anno). L’offerta spazia dalla vinoterapia di Lungarotti in Umbria alla spa della grappa inaugurata dalle distillerie Berta in Piemonte, mentre in Toscana ci sono realtà come Il Borro dei Ferragamo o Mastrojanni del gruppo Illy che hanno recuperato antichi borghi abbandonati trasformandoli in hotel diffusi e brandizzati al profumo di Bacco. Le prospettive? Non dipendono soltanto dai produttori. Donatella Cinelli Colombini, convinta sostenitrice dell’enoturismo, punta il dito contro “un’organizzazione pubblica del tutto insufficiente – afferma la proprietaria di Casato Prime Donne a Montalcino e Fattoria del Colle in val d’Orcia – perché è ben difficile richiamare visitatori se tutti gli aeroporti della Sicilia ricevono dall’Europa meno voli dello scalo di Marbella dalla sola Germania”.
di Andrea Guolo