Un 2018 caratterizzato da nuove aperture, dall’estensione dell’offerta ai migliori brand di gioielleria e, con ogni probabilità, da una crescita single digit del turnover. Pisa Orologeria è l’indirizzo di riferimento della ‘via del tempo’ milanese con le proposte dei più noti brand dell’hard luxury. La clientela è per il 75% straniera. “Questo tipo di audience ha reso più costante la stagionalità”, ha spiegato a Pambianco Magazine Chiara Pisa, direttore generale di Pisa Orologeria, entrando nel vivo dei nuovi progetti dell’azienda di famiglia. “Mi piacerebbe sviluppare un servizio in grado di affiancare alle nostre competenze nel servizio post-vendita le potenzialità delle piattaforme digitali”, ha anticipato la manager, che scommette inoltre sulla crescita della linea Pisa Diamanti.
Il 2018 è stato un anno ricco di iniziative per Pisa Orologeria, a partire da due opening importanti, quelli delle maison Vacheron Constantin e A. Lange & Söhne. Cosa vuol dire per Pisa Orologeria e come cambia il vostro rapporto con i brand?
Alla base di un’operazione come quella fatta con Vacheron Constantin c’era la voglia di consolidare il rapporto con uno dei brand più antichi del mondo dell’orologeria e che è con noi da tanti anni. La nostra volontà di dedicargli uno spazio più grande ha incontrato la voglia, da parte della maison, di avere una visibilità maggiore e una presenza sul Quadrilatero che fosse in linea con quella di altri marchi del gruppo Richemont. La boutique si articola su due livelli, al piano terra ci sono le collezioni, mentre al primo piano abbiamo voluto creare uno spazio molto elegante e accogliente dove i clienti possano rilassarsi e dedicarsi alla loro passione per l’alta gioielleria È stato un opening su cui abbiamo riflettuto molto: fino allo scorso anno a trainare le vendite di Vacheron Constantin erano i consumatori cinesi e noi avevamo paura di perdere, su questo brand, i clienti italiani. La risposta però ha smentito ogni timore, con i consumatori italiani che hanno fatto registrare da subito una buona affluenza. Quanto a A. Lange & Söhne, il brand è presente nel nostro multimarca dal 1994, anno del suo rilancio. Abbiamo scelto di dedicargli più spazio come naturale evoluzione. A. Lange & Söhne ci ha dato lo status di boutique, con accesso alle diverse edizioni limitate. E sono queste ultime a imporsi nelle scelte dei consumatori su brand diversi dai big.
Un’altra novità è il Salone dei Gioielli. Da dove nasce l’idea di dedicare un’intera area alla gioielleria?
Inizialmente l’idea era quella di affiancare una selezione di gioielli alla nostra offerta di orologi. E per un paio di mesi è stato così. La curiosità e la domanda dei clienti, sia italiani che stranieri, però sono state da subito molto forti e abbiamo pensato fosse opportuno dare alla gioielleria una connotazione precisa. Il piano dedicato ai preziosi ci permette di essere più vicini a un pubblico più ampio e permette agli stessi clienti di scoprire un’offerta diversa da quella dei brand che finora sono stati i nostri best seller. Gli italiani hanno sempre comprato orologi, spaziando tra maison diverse. Negli ultimi anni, complice la crisi economica, le scelte si sono orientate sempre più su marchi molto noti, quindi verso segnatempo che non si svalutano. Alla passione per gli orologi si è affiancata l’idea del ritorno economico su un investimento. Il piano dei gioielli contribuisce a portare l’attenzione anche su nicchie diverse. A darci la motivazione per l’apertura di questo piano è stato inoltre il nostro personale di vendita, molto preparato anche su questo settore.
Nel Salone dei Gioielli, brand storici e contemporanei si affiancano alla collezione Pisa Diamanti. Quando è nata questa collezione?
Che categorie di prodotto include? Pisa Diamanti è il nostro primo, timido, passo nella gioielleria, inteso come prima offerta con il nostro nome. Non abbiamo voluto presentarci con una collezione che avesse una forte connotazione fashion. Abbiamo optato per degli oggetti essenziali, che avessero però un tratto caratteristico. Tennis, solitari, orecchini e pendenti punti luce sono le declinazioni di un canone estetico classico, al quale si aggiunge il vezzo di una griffe a forma di lancetta. Per ora, a livello di stile, le collezioni nascono da un’idea di mia madre, ma per il futuro non escludo la scelta di un direttore creativo dedicato, magari anche un designer esterno al mondo della gioelleria. Siamo consci che non sarà un percorso semplice. Ci abbiamo messo 78 anni per far crescere e dare alla nostra azienda l’autorevolezza che ha oggi nel settore dell’orologio.
L’ampliamento dell’offerta ha trainato la performance molto positiva del 2017, chiuso con un fatturato in crescita del 17,5 per cento. Quali sono le stime per la chiusura del 2018?
Per un dato definitivo dobbiamo aspettare la fine dell’anno. Le nostre stime inquadrano una crescita single digit ed è un risultato importante, considerando che lo scorso anno è stato molto positivo. Le prossime settimane sono quelle dello shopping natalizio, ma questo periodo non è più così decisivo. La nostra clientela è per il 75% straniera, con asiatici, americani e consumatori del Middle East in testa. Questo tipo di audience ha reso più costante la stagionalità, permettendoci di fare stime più accurate senza dover dipendere in maniera marcata dalla performance del solo mese di dicembre.
Nell’ultimo anno avete parlato di un “ritorno del consumatore italiano”. Credete che questa fiducia si possa confermare anche nei prossimi mesi?
Al momento non registriamo nessuna flessione, ma, come nel resto del mondo, In Italia la fase di incertezza politica incide sulla fiducia dei consumatori. Dal mercato domestico ci attendiamo una sostanziale stabilità.
Lei rappresenta la terza generazione della famiglia alla guida di Pisa Orologeria. Quali sono i traguardi verso cui le piacerebbe condurre l’azienda?
Mi piacerebbe sviluppare un servizio in grado di affiancare alle nostre competenze nel servizio post-vendita le potenzialità delle piattaforme digitali. Pisa Orologeria nasce nel 1940 come laboratorio di assistenza e riparazione. Nel 1945 siamo diventati un’attività commerciale vera e propria. Il servizio post-vendita è sempre stato una parte fondamentale del nostro Dna. Vorrei che questo tipo di servizi, anche alla luce dell’altissimo livello di preparazione dei nostri dipendenti e della specializzazione del nostro laboratorio, assumessero un ruolo maggiore nel nostro business.
L’edizione 2019 di Baselworld vede un ulteriore calo di espositori rispetto al 2018. Secondo lei, le fiere di settore sono ancora interlocutori adeguati?
Le fiere di settore sono importanti per lo scouting di nuove realtà, ma per le aziende di dimensioni medio-piccole diventa sempre più difficile poter esporre perché i costi sono molto alti. Questo è un ostacolo per le realtà emergenti. Anche il nostro ruolo di intermediari tra le case di orologeria e i clienti finali non è più quello del passato, quando eravamo i primi a raccontare le novità viste in fiera. Adesso il digitale ci precede. Le stesse maison di orologeria mettono i cataloghi online in ‘tempo zero’. Forse è necessario ripensare le tempistiche e valorizzare di più la presenza di brand e compratori.
di Giulia Sciola