I consumi di abbigliamento degli italiani crescono ma sempre più con etichette Made in Cina, Romania, Turchia a scapito di capi nazionali. Le importazioni arrivano al 48% dei consumi di abbigliamento esterno maschile, che l'anno passato hanno superato i 18.000 miliardi (+2,1%), e al 27% degli acquisti fatti dalle donne, aumentati a 23.000 miliardi (+4,4%).
Questo lo scenario presentato ieri da Sita-Nielsen e Smi nel corso di Modaprima, manifestazione rivolta alla distribuzione organizzata che si chiuderà domani alla Fiera di Milano. Per la stagione passata si può parlare di boom dello shoppinh ma bisogna tenere in considerazione che l'industria italiana è riuscita a crescere grazie alle esportazioni, diminuendo però la sua quota sul mercato domestico.
Tra i primi paesi fornitori, a parte la Cina, troviamo Romania e Tunisia, dove si acquista quasi il 24% dell'abbigliamento importato (per oltre 2.200 miliardi di lire) e dove si concentrano molte delocalizzazioni dell'industria italiana. E diventa prassi l'esportazione temporanea, per realizzare fuori dall'Italia solo una fase della produzione.
La bilancia commerciale rimane comunque attiva grazie anche alla crescita delle esportazioni trainate dal superdollaro: 11.733 miliardi l'abbigliamento donna (+14,8%), contro i 3.911 miliardi di import; 9.317 miliardi l'abbigliamento uomo (+11,6%) a fronte di 5.524 miliardi di import.
Cambia lo scenario geografico e produttivo del mercato e cambia anche quello di prodotto. La quota di produzione di vestiario in tessuto o pelle scende dal 62% di cinque anni fa al 56%. La maglieria sale per contro dal 38% al 46%. E anche nei consumi si affermano l'informale e lo sportswear, segmenti peraltro dove la produzioone straniera riesce a fare più breccia. Anche se un ritorno alla crescita dell'abbigliamento classico è auspicato da molte aziende italiane.
Sul fronte della distribuzione, Renato Borghi, rieletto ieri Presidente di Federabbigliamento sottolinea come i consumi dell'autunno scorso abbiano premiato i negozi indipendenti con una quota del giro d'affari di quasi il 63% nell'abbigliamento maschile e del 59% nel femminile, tenendo il ritmo della Gdo e guadagnando terreno sulle catene di negozi.