Mentre altre compagini dell’occhialeria stanno rallentando, Marcolin ha accelerato la crescita negli anni recenti. Massimo Renon, CEO del gruppo veneto dell’eyewear, dal 2012 di proprietà del fondo di private equity Pai Partners, spiega a Pambianco Magazine i driver di questa progressione, a partire dall’ampliamento del portafoglio brand (tra i deal più recenti, le licenze con Adidas, The Swatch Group e il Gruppo Max Mara), passando da operazioni strutturali come la creazione di Thélios insieme a Lvmh. Gli obiettivi per il futuro? Gli accordi di distribuzione e l’ulteriore ampliamento delle licenze nel mondo del lusso.
Negli ultimi 14 mesi avete chiuso tre rinnovi, 6 nuovi accordi di licenza e svariate collaborazioni. Si sente soddisfatto?
Non potrebbe essere diversamente. La nostra principale mission in questo momento è aggiungere al portafoglio nuovi marchi in grado di rappresentare diverse categorie di prodotto e di intercettare nuove categorie di consumatori, senza andare in sovrapposizione con quelli già presenti. Una bella sfida che abbiamo vinto di recente con Adidas, con il Gruppo Max Mara, che ci ha affidato la licenza degli occhiali Sportmax e Max&Co, e con The Swatch Group, per cui ci occuperemo dell’eyewear di Omega e Longines. Ma anche con Gcds, un brand ad alta crescita online, digital oriented e decisamente ‘giovane’, che rappresentava un tassello mancante. E a breve renderemo noto un ulteriore accordo, questa volta nel mondo del lusso.
Come supportate questa continua espansione a livello operativo?
Investendo in termini di formazione e risorse umane (abbiamo assunto 250 persone in due anni), e sostenendo la crescita internazionale con l’apertura di nuove filiali, in joint venture e dirette. Il focus è in particolare sull’area asiatica, con l’apertura delle sedi di Hong Kong e Singapore, e la joint venture per il Middle East con Rivoli Group, siglata nel 2017, che va ad aggiungersi a quelle già esistenti in Cina, Messico e Russia. La quota export è pari al 93% del fatturato: è inevitabile dare sostegno alle nostre operazioni oltre confine. Attualmente, il 45% del nostro business è concentrato in Nord America, il 30% arriva dall’Europa (in particolare, da Francia e Italia) e il 25% dal resto del mondo.
La produzione, però, rimane saldamente in Italia…
Quella per il made in Italy, sì. Per i prodotti non made in Italy ci affidiamo all’estero, principalmente a Cina e Giappone, mercato d’eccellenza nell’uso del titanio.
Altre aree di investimento importanti?
Senza dubbio quella delle nuove tecnologie e del digitale, con un focus particolare su it, b2b e, ovviamente, sulla qualità dei prodotti. Il consumatore contemporaneo è molto attento, bisogna sapergli giustificare l’acquisto di un oggetto, specie se sopra i 150-200 euro. E poi vogliamo spingere anche sulla sostenibilità, un argomento da cui non si può prescindere: a tal proposito, stiamo entrando in partnership con un’azienda che si occuperà di certificare tutti i nostri processi. Vogliamo essere all’avanguardia anche sotto questo punto di vista.
Il grande passo, datato 2017, è stato la sigla della joint venture con Lvmh, con la nascita di Thélios. Che impatto ha avuto questa operazione?
Un impatto fortissimo, che ha dato grande prestigio a Marcolin, confermando la sua abilità nel creare prodotti di qualità. Al momento, Thélios si occupa dell’eyewear di Celine, Loewe, Berluti, Kenzo, Fred e, da gennaio 2021, anche di Dior. I due gruppi (Marcolin e Thélios) sfruttano anche, ad oggi, le sinergie organizzative su alcuni mercati particolarmente complessi quali Russia e Cina, beneficiando così della massa critica complessiva. Marcolin ha contribuito in modo determinante sia alla realizzazione di infrastrutture ad hoc (in particolare con riferimento alla manifattura, compreso il suo attuale ampliamento che porterà a produrre 4,5 mio pezzi annui a partire dal 2020) che alla messa a disposizione a Thelios dei servizi necessari per tutta la fase di start up.
A tal proposito, quanto è importante fare parte del distretto veneto dell’occhialeria?
Agiamo con la volontà di creare una catena del valore con i nostri fornitori partner. Valorizzare il nostro territorio è per noi motivo di orgoglio.
Ritiene che i grandi brand cercheranno di allinearsi a Kering e Lvmh nel mettere un piede nella produzione?
Può farlo davvero solo chi ha una massa critica in termine di volumi, dimensioni e numero di brand tale da sostenere i costi molto elevati di distribuzione e di struttura. Piuttosto, stiamo assistendo a richieste da parte dei brand di appoggiarsi alla nostra struttura e alla nostra organizzazione. Mi riferisco, per esempio, a Barton Perreira, marchio di eyewear indipendente con sede a Los Angeles, con cui abbiamo siglato un accordo in esclusiva per la distribuzione dei suoi occhiali. Non si tratta di una licenza, quindi, ma della necessità di beneficiare della nostra struttura capillare: per loro rappresentiamo una pura piattaforma distributiva. Questo è un modello che, a mio parere, ha un grande margine di crescita per il futuro del settore.
Altre soddisfazioni da dove sono arrivate?
Ci riteniamo davvero soddisfatti quando capiamo di ispirare grande fiducia nei nostri clienti: per esempio, abbiamo rinnovato con Guess sino al 2025, e con Tom Ford Eyewear fino al 2029. Si tratta del rinnovo più lungo nella industry, nonché di un lasso di tempo che credo parli da sé in termini di stima e aspettative.
Dal punto di vista economico, i dati cosa dicono?
Abbiamo archiviato il 2018 a 482,2 milioni di euro di fatturato, contro i 469 milioni del 2017. Nell’esercizio, abbiamo venduto circa 14,6 milioni di paia di occhiali. E per il 2019, ci aspettiamo una crescita low single-digit.
In questa crescita crede che abbia a che fare qualcosa l’uscita dalla Borsa, datata 2012?
Non credo. Si tratta di un lasso di tempo troppo elevato, l’‘effetto Borsa’ ritengo sia ormai del tutto svanito. Il vero driver di crescita è stata l’acquisizione da parte di Pai Partners che, con la sua visione a lungo termine, ha sempre supportato l’azienda e il suo management.
I vostri clienti sono i marchi, ma avete mai pensato di comunicare il vostro marchio anche al consumatore finale?
Sì. È una consapevolezza a cui siamo arrivati di recente, ma in cui vogliamo impegnarci: cercheremo di coinvolgere sempre di più le persone nei valori del nostro heritage.