La Cina spaventa i mercati finanziari e colpisce soprattutto le aziende della moda. I gruppi italiani esternano tranquillità, ma avviano riflessioni sui costi del retail.
Un agosto gelato. Mentre la temperatura si manteneva su livelli da record per le estati degli ultimi anni, in Borsa il lusso viveva forse uno dei mesi peggiori della storia recente, a causa della bufera originata dal crollo delle Borse di Shanghai e Shenzhen. L’aria che qualcosa cominciasse a scricchiolare oltre la Grande Muraglia si percepiva da mesi. Sia sul fronte delle mosse delle aziende (aggiustamenti del listino prezzi; ripensamenti delle strategie retail; annunci di riposizionamento) sia su quello degli interventi di Pechino: dalla stretta anticorruzione sui regali di lusso, all’alleggerimento delle tariffe d’importazione. Fino, ad agosto, alla svalutazione della valuta nazionale. Quest’ultimo passaggio ha aperto le cateratte dei listini, ben oltre l’aggiustamento ai nuovi cambi dello yuan. Gli investitori internazionali hanno letto la mossa come un tentativo estremo di ridare benzina a un’economia rimasta con poche altre carte da giocare. E sono iniziate le fughe dei capitali. La conseguenza è stata il crollo generale delle Borse mondiali. E un immediato allarme sulle prospettive di quello che è il principale mercato mondiale per alcuni settori, a cominciare dai beni di lusso. Tra acquisti in Cina e shopping dei turisti cinesi, il Drago vale oltre il 30% della spesa luxury globale. La conseguenza in Borsa sui titoli è stata consistente. Guardando ai brand italiani, il calo è stato in doppia cifra per Ferragamo, Moncler, Prada e Tod’s. Evidentemente, l’entità della caduta (proseguita anche in settembre) dipende dal grado di esposizione alla Cina, ossia dalla percentuale di fatturato legato ad acquisti cinesi, in patria e nello shopping turistico (vedi tabella) Ma l’aggiustamento di valore dipende da quanto la tempesta di agosto si rivelerà passeggera o strutturale. Un’analisi di Exane Bnp Paribas di agosto ha simulato quattro scenari di svalutazione dello yuan (-2%; -5; -10%; -20%), evidenziando “come solo una svalutazione del 20% abbia impatti significativi sugli utili delle case di moda”. Da parte loro, i brand ostentano una certa tranquillità. Cucinelli ha espresso ottimismo in quanto ritiene che la Cina stia affrontando un passaggio chiave per “rendere più umana” la propria crescita. Prada ha spiegato di non vedere per la Cina prospettive negative di lungo periodo, piuttosto ha indicato debolezza a Hong Kong e Macao, dove sta cercando di rinegoziare gli affitti dei negozi locali. Ferragamo ha dichiarato che continuerà a spingere sugli investimenti retail, anche se ha lanciato un messaggio da non sottovalutare: “Negozi di minore dimensione”. Insomma, si è comunque avviata una riflessione sulle strategie distributive adottate sinora.
Insomma, si tende a smorzare i timori, come ha fatto il direttore del Fmi Christine Lagarde, secondo cui il rallentamento cinese non è né brusco né inatteso, dal momento che Pechino si sta semplicemente adattando ad un nuovo modello di sviluppo. Passata la tempesta finanziaria, l’auspicio è che la Cina torni a essere il motore (anche) del lusso mondiale. Il punto sarà capire come cambieranno le modalità di traino. I segnali più evidenti indicano un minor ruolo per Hong Kong e Macao (minore differenziale di prezzi con la madrepatria; maggior raggio di spostamento dei turisti cinesi). Ma anche un mutamento di attitudine dei consumi nella grande Cina. In un tempo piuttosto breve, il consumatore cinese sembra aver superato il concetto di lusso come ostentazione e status symbol, per una più matura ricerca di qualità e originalità. Una transizione che apre la strada ai marchi emergenti cinesi, nonché alla serie di brand che i capitali di Pechino stanno rastrellando in Italia ed Europa per rilanciarli a casa propria. Del resto, si parla di un mercato sollecitato da profondi mutamenti sociali del Paese: si pensi alla politica del figlio unico per famiglia. Come evidenziano gli analisti, questo ha comportato maggiori disponibilità economiche, ma anche formative ed esperienziali, per i giovani che saranno la base di una nuova classe media cinese più consapevole dei propri valori. Il tutto, accelerato dal fenomeno Internet. Sull’incidenza dell’online sui futuri consumi di lusso si gioca la partita chiave. Per adesso, come evidenzia il recente crollo in Borsa di Alibaba (sceso in agosto sotto il prezzo dell’Ipo) il risultato è in parita. Ma il ‘contropiede’, in Cina, sembra diventato un’arte.
di Luca Testoni