L’addio al tax free nel Regno Unito potrebbe mandare in fumo fino a sei miliardi di sterline di spesa dei turisti. Dura la reazione di brand e retailer inglesi, ma anche dell’intero settore turistico. In Europa si annunciano condizioni vantaggiose per Francia e Italia.
Un’agevolazione che viene trasmessa solo ai passeggeri e che, in alcuni casi, è uno sgravio non coerente con i princìpi fiscali internazionali. Una prassi che avvantaggia le grandi aziende e la città di Londra, quando invece bisogna pensare all’interesse nazionale. Sono queste alcune delle motivazioni della decisione senza precedenti (e che può invece rappresentare un pericoloso ‘precedente’) presa dal Governo inglese sul tax free: porre fine alle vendite esentasse all’interno di aeroporti, porti e stazioni Eurostar dall’inizio del prossimo anno. Una proposta di legge che ha scatenato la reazione di settori trainanti dell’economia. A partire da gennaio verrebbe ritirato anche il regime Iva di esportazione al dettaglio, che attualmente consente ai visitatori dell’Ue di richiedere il rimborso dei beni acquistati in Uk. Se queste decisioni diventassero realtà, assicurano le stime del Centre for Economics and Business Research (Cebr), diffuse da Planet, fornitore globale di servizi di pagamento, potrebbero cancellare fino a sei miliardi di sterline (circa 6,6 miliardi di euro) di spesa dei turisti, e mettere a rischio quasi 140mila posti di lavoro.
TIMORE PER L’ASSENZA DI TURISTI
Immediata la reazione di shock dei principali retailer inglesi, tra cui Harrods (che già si era detto preoccupato per la possibile assenza di turisti asiatici e americani fino al 2022), Selfridges, Harvey Nichols e Liberty, certi che l’iniziativa impatterà negativamente sulle vendite di abbigliamento, accessori e cosmetici di fascia alta. La New West End Company, che rappresenta le attività di vendita al dettaglio e hospitality dell’area di Oxford, Regent e Bond street, ha definito la decisione un “colpo di martello” per i retailer britannici, che stanno già affrontando a fatica la crisi legata al Covid-19, l’incertezza commerciale connessa alla stessa Brexit e i dazi Usa sul made in Uk. “Non solo il Tesoro non salverà nulla, ma l’inevitabile calo del numero di turisti internazionali e della spesa nel Regno Unito ridurrà tutte le altre entrate Iva”, ha affermato l’organizzazione, aggiungendo che la spesa totale annua dei visitatori internazionali è di oltre 22 miliardi di sterline (23,8 miliardi di euro), di cui il 10% per acquisti esentasse. “Una decisione di questo genere – ha spiegato a Pambianco Magazine Sara Bernabè, general manager Italy di Planet – avrebbe ripercussioni sull’intero comparto turistico che nel Regno Unito rappresenta l’11% del Pil e dà lavoro a 1,5 milioni di persone. A essere penalizzato non sarebbe solo il retail, ma anche settori fortemente connessi come hotellerie e trasporti. Gli shopper internazionali, che oggi spendono circa 4 volte quello che spende il consumatore locale, potrebbero infatti cambiare la destinazione del loro viaggio a seconda delle condizioni di acquisto più favorevoli”. Non è un caso, ad esempio, che il presidente francese Emmanuel Macron abbia abbassato il limite per accedere al tax free da 175 a 100 euro di spesa. Questo cambiamento fa sì che la soglia di accesso più alta d’Europa sia oggi quella italiana, fissata a 155 euro. “L’Italia – ha continuato Bernabè – potrebbe però guadagnarne come meta di shopping alternativa al Regno Unito, magari scelta dagli stessi shopper inglesi”.
APPELLO AL CANCELLIERE DELLO SCACCHIERE
A pensare che lo stop al tax free sia “un favore” ad altre mete di turismo del Vecchio Continente è anche il gruppo di 15 firmatari di una lettera aperta inviata al Cancelliere dello Scacchiere (il ministro delle Finanze britannico) Rishi Sunak, per esortarlo a ritirare la proposta di legge e preservare 70mila posti di lavoro. Tra loro, il designer Paul Smith, ma anche aziende come The White Company, Ted Baker e Hackett London, che si sono uniti alle proteste di Marks & Spencer e Mulberry. Durissima, inoltre, la reazione del management dei principali aeroporti inglesi, come quelli di Heathrow, Gatwick e Birmingham. “Il Governo inglese – ha continuato Bernabè – ha diverse opzioni per aggiustare la rotta sul tax free se al momento lo ritiene poco vantaggioso. Si potrebbe strutturare un sistema digitale per controlli doganali più rigidi, in previsione dell’estensione di acquisti tax free anche ai cittadini dell’Ue, oppure alzare il minimum spending e quindi consentire rimborsi solo per acquisti ‘importanti’. Molte sono le realtà che hanno avanzato proposte strutturali per evitare che la proposta entri in vigore e sapremo di più sull’orientamento del Governo solo a fine novembre”. Il Cebr ha stimato che l’allargamento dei confini dello shopping esentasse anche a chi proviene dall’Ue si tradurrebbe in un aumento della spesa turistica per 890 milioni di sterline, in 1,36 miliardi in più di gva e nella creazione di 20.200 nuovi posti di lavoro. Anche quest’ultimo dato ha un peso significativo dopo gli annunci in negativo degli scorsi mesi, in particolare nel retail. Se il gruppo Arcadia, controllante, tra gli altri, di Topshop e Dorothy Perkins, ha licenziato 500 persone, Harrods è pronto a tagliare poco meno di 700 membri del suo staff. Lo scorso luglio l’insegna guidata da Michael Ward ha aperto il suo primo negozio outlet a Westfield London, trasferendovi le giacenze in eccesso accumulate durante il primo lockdown. Il CEO di Kurt Geiger Neil Clifford ha infine annunciato che l’azienda saluterà la fine del 2020 con il 25% di organico in meno. “Il danno – ha aggiunto – sarà significativamente più ampio di quanto previsto dal Tesoro, le nostre manifatture di lusso ne patiranno le conseguenze e tutti i marchi globali bloccheranno gli investimenti nel Regno Unito a causa del drastico calo della domanda”.