Le accuse di sfruttamento pesano come un macigno su Boohoo, che rischia, per questo, di essere bandito dagli Stati Uniti. L’e-tailer con sede a Manchester era già finito nell’occhio del ciclone la scorsa estate, quando era stato accusato di sfruttamento e condizioni lavorative pericolose in seguito a un’inchiesta giornalistica condotta dal Sunday Times. Il cronista, infiltrato nel magazzino di Jaswal Fashions, uno dei fornitori del brand con sede a Leicester, aveva riportato come la paga offerta fosse di sole 3,50 sterline l’ora, meno della metà del salario minimo nel Regno Unito, e di come non venisse rispettato l’obbligo di distanziamento sociale.
Ora, come si legge su Sky News, la questione sfruttamento potrebbe portare a pesanti conseguente negli Usa, mercato che lo scorso anno ha pesato per oltre un quinto dei ricavi totali del gruppo. Secondo Duncan Jepson, che gestisce il Liberty Shared, una movimento contro la schiavitù moderna, Boohoo non sta infatti facendo abbastanza per fermare il lavoro forzato a Leicester. In risposta, la Us Customs and Border Protection ha avviato un’indagine sul gigante della moda online e su molti dei suoi fornitori.
Gli Stati Uniti, infatti, vietano l’importazione di qualsiasi merce prodotta “in qualsiasi Paese straniero con lavoro forzato o servitù da debiti (indentured labour)” ai sensi dello Us Tariff Act 1930. Pertanto, se l’indagine dovesse volgere a sfavore di Boohoo, l’e-tailer rischia di non poter più commercializzare i suoi prodotti negli Usa.
Boohoo, nel frattempo, ha avviato un’indagine indipendente per verificare lo stato delle cose presso i suoi fornitori. “Siamo fiduciosi nelle azioni che stiamo intraprendendo per garantire che tutti i nostri prodotti soddisfino e superino i criteri di Cbp per impedire che il prodotto del lavoro forzato entri negli Stati Uniti (o in uno qualsiasi dei nostri mercati)”, ha detto la società inglese.