“Il mondo della moda rappresenta il capitalismo? La realtà è che nessuno di noi ha la capacità di immaginare un altro sistema”, questo è solo uno dei numerosi spunti di riflessione che Maria Grazia Chiuri ha condiviso ieri durante un lungo talk sulla sostenibilità. La fashion designer è stata tra gli ospiti del progetto ‘Tempi responsabili’ organizzato dall’Università Iuav di Venezia con la partecipazione di Manteco. Una giornata di studio inserita nel palinsesto dell’edizione 2023 del Festival dello Sviluppo Sostenibile, durante la quale la direttrice artistica delle collezioni donna Dior ha dialogato con Karishma Swali, presidente della Chanakya School of Craft di Mumbai. Entrambe hanno riflettuto sulla collaborazione tra la maison francese e la scuola indiana, istituita a Mumbai nel 2016, che si propone come piattaforma di apprendimento multidimensionale, focalizzata sulle arti e sull’artigianato, in particolare sul ricamo, garantendo pari opportunità alle donne.
“Nel fare moda si fa politica”, ha affermato la stilista romana che vanta nel suo curriculum la co-direzione creativa di Valentino e diversi anni nell’ufficio stile di Fendi. Negli anni, Chiuri ha scelto di portare spesso in giro per il mondo alcune sfilate di Dior collaborando sempre con le manifatture locali, assicurando una sinergia reale con i talenti del posto che sono garanzia dell’autentico mix culturale, oltre che sartoriale. È stato il caso, ad esempio, delle pre-collezioni che hanno sfilato a Mexico City, Mumbai e Siviglia, solo per citare le più recenti. “Si cerca di mettere il sistema della moda a servizio di una comunità più ampia, condividendo il benessere che può creare. Il mondo della moda rappresenta il capitalismo? Questo dilemma esiste, è molto contraddittorio farlo all’interno di un famoso brand del lusso ma posso farlo. Sono qui per cui lo faccio. Nell’ufficio stile c’è un ufficio culturale, la selezione delle aziende e dei laboratori la faccio personalmente e vado a visitare le strutture. La scelta dura mesi e ci rivolgiamo anche ad esperti locali che ci aiutano sul territorio”, ha spiegato Chiuri durante l’incontro introdotto da Maria Luisa Frisa, professoressa ordinaria dell’Università Iuav di Venezia.
“Da Dior mi lasciano molto libera, il lavoro con Karishma è iniziato negli anni ’90 e comprende anche una grande condivisione di valori a livello personale. Non c’era esperienza nei ricami sugli accessori, all’epoca da Fendi è stata una grande scuola; un’azienda familiare che condivideva questi valori, si sperimentava in un territorio inesplorato, fare borse e scarpe ricamate. C’è stata la capacità di prendere le capacità del savoir faire italiano e introdurli in quello indiano. L’India non è solo a basso costo. Purtroppo in questi anni si pensa chi va lì voglia risparmiale ma in realtà c’è eccellenza, c’è un racconto che va sfatato”.
Facendo riferimento all’ultima esperienza in Messico, Chiuri ha parlato del confronto tra le tradizioni europee e quelle sudamericane: “Ad alcune comunità abbiamo chiesto ricami che rappresentassero le silhouette Dior, con altre abbiamo deciso di usare dei loro modelli e abbinarli al design contemporaneo. A volte le comunità, anche in Italia, danno per scontato quello che sanno fare, il confronto li aiuta a vederli con altri occhi. Se pensano al lavoro come solo come elemento esecutivo e non creativo non ne comprendono appieno il valore ed è quello che nel mio piccolo cerco di fare. Il savoir fare ci connette tutti anziché dividere, specie in un momento in cui nella moda si parla di cultural appropriation la cui degenerazione può diventare una chiusura che, secondo me, non è mai positiva”.
La giornata ha visto susseguirsi diversi panel; Sara Sozzani Maino, direttrice Fondazione Sozzani, ha dialogato con i CEO di Manteco Marco e Matteo Mantellassi. Gabriele Monti, professore associato, dell’Università Iuav di Venezia si è confrontato con Marco Ricchetti, economista e CEO di Blumine. Infine la professoressa ordinaria del Politecnico di Bari Rossana Carullo ha incontrato Elda Danese, studiosa della moda e docente dell’Università Iuav, Cittdellarte Fondazione Pistoletto.
I fratelli Mantellassi hanno descritto le attività dell’Academy Manteco pensata per attrarre le nuove generazioni all’eccellenza manifatturiera: “C’è stato un cambiamento dopo il Covid che ha visto un grande ritorno all’artigianalità e al lavoro fatto con cura. La moda sta riportando alla luce i propri valori originari. Per creare un abito di lusso ci sono centinaia di artigiani, Manteco è sempre stata dentro al distretto tessile italiano quando altri delocalizzavano. A un certo punto abbiamo voluto puntare a un prodotto di lusso iniziando un processo di educazione per i nostri artigiani. Produciamo tutto entro otto chilometri dalla nostra realtà, abbiamo 53 partner che lavorano esclusivamente per noi e noi li aiutiamo a percepire le richieste dei brand, il 50% della nostra produzione proviene da materiali riciclati”.