La resa dei conti è cominciata. Finalmente si può fare un bilancio sull’andamento della moda italiana negli Stati Uniti.
Da Washington arrivano i dati sulle importazioni di tessile- abbigliamento nel 2001.
I prodotti italiani sono andati peggio della media, con le vendite in calo del 3% (vale a dire circa 2.383 milioni di euro) rispetto al 2% dell’intero import americano. Se l’abbigliamento ha resistito, limitando la flessione allo 0,5%, è crollato il tessile -8% sotto i 670 milioni di dollari (774,5 milioni di euro).
L’interpretazione dei dati 2001 è piena di avvertenze. La discesa del mercato infatti non è cominciata con il crollo delle Torri Gemelle, ma già in primavera quando le vendite hanno cominciato a barcollare nell’incertezza sull’economia americana.
L’attentato ha, dunque, accelerato un processo di fatto già in corso.
L’Italia è una nicchia, rappresenta il 2,5% delle importazioni americane di abbigliamento e poco meno del 5% nel tessile. La maggior parte del vestiario, infatti, arriva dal vicino Messico, il quale negli ultimi anni è passato da un peso nullo sul commercio mondiale a una quota del 4,4%. Ma, anche lui ha sofferto della crisi americana con un export verso gli Stati Uniti sceso del 7,1% a quota 7.811 milioni di dollari. Il gigante asiatico, invece, ha venduto agli americani abbigliamento per 4,6 miliardi di dollari (+2,3%) mentre per il tessile il giro d’affari è stato di 1.933 milioni di dollari, con un calo del 4,6%.
Nonostante la concorrenza , le aziende italiane guardano con ottimismo i primi dati: a gennaio le vendite al dettaglio di abbigliamento sono aumentate del 2,1% rispetto allo stesso mese del 2001 e del 2,5% in confronto a dicembre. Una crescita che potrebbe far lievitare la fiducia sui prossimi mesi e stimolare gli acquisti dei buyer americani presenti in questi giorni a Milano.