La Camera Nazionale della Moda Italiana prova a districare le ambiguità che spesso caratterizzano il mondo degli influencer e le aziende del settore moda. Ieri, l’ente ha reso noto un documento intitolato ‘Linee guida e regole interpretative per gli influencer’ che riassume le migliori pratiche attualmente adottate dai brand del settore moda, e che delinea nuove proposte.
Il documento, consultabile sul sito web di Cnmi, ricorda quanto i fashion brand siano tra i maggiori utilizzatori dell’influencer marketing, e si trovano a operare in un settore che ha caratteristiche molto peculiari sotto il profilo relazionale, di immagine e di reputazione. Da ciò nasce la necessità di dare vita a regole specifiche per il fashion word che vadano al di là del semplice inserimento di hashtag quali ‘ad’, ‘adv’ o ‘sponsored’. Cnmi ha creato un tavolo di lavoro per la discussione degli aspetti più rilevanti tra i maggiori fruitori dell’attività promozionale svolta dagli influencer. Attraverso un confronto avvenuto tra un numero ristretto di aziende leader della moda italiana, selezionate tra quelle particolarmente attive nell’ambito dei social network, si è deciso di creare il documento con lo scopo di riassumere le best practices attualmente adottate dai brand del settore e finalizzato ad aprire un dialogo con le istituzioni, anche in vista dell’emanazione di futuri eventuali provvedimenti legislativi.
Cnmi riporta i dati di una ricerca Eurostat aggiornata al dicembre 2017, secondo cui quasi la metà delle imprese europee utilizza almeno uno strumento tra social networks, blogs, siti di content-sharing e wikis come mezzo di comunicazione con i propri clienti, con un incremento significativo rispetto al 2013. Per veicolare i propri messaggi le aziende tendono a stringere rapporti con gli influencer che l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria definisce “soggetti che hanno la capacità di influenzare i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. Si tratta di soggetti che hanno acquisito particolare prestigio e autorevolezza per l’esperienza e la conoscenza maturata in un certo ambito o settore, come noti blogger che hanno online un largo seguito di pubblico”.
Il documento segnala inoltre il sempre più labile confine tra celebrity e influencer, da cui scaturisce una confusione di ruoli caratterizzata dalla peculiare commistione tra promozione e attività della vita quotidiana. Il documento ricorda le attenzioni che alcune autorità internazionali hanno nei confronti degli influencer allo scopo di tutelare il consumatore nelle diverse giurisdizioni, in primis la Federal Trade Commission statunitense. La Ftc ha più volte sottolineato che proprio la confusione tra sfera personale e professionale, che rende l’attività promozionale così efficace, rappresenta un potenziale pericolo per i consumatori. “In proposito, singole autorità nazionali hanno emanato linee guida che identificano regole di buona condotta che gli influencer sono invitati a rispettare nello svolgimento della loro attività promozionale”, ricorda il documento. A seconda dell’autorità emanante, il mancato rispetto di tali linee guida potrebbe comportare l’imposizione di sanzioni, non necessariamente pecuniarie, ma comunque invasive. Le regole elaborate a livello nazionale o sovranazionale si applicano trasversalmente a tutti i settori con la finalità di rendere noto ai consumatori quando l’influencer sia stato pagato dalla società il cui prodotto è pubblicizzato e quando, invece, la valutazione del prodotto sia realmente indipendente e spontanea.
A tal proposito l’elaborato presenta quattro buone pratiche da attuare partendo (1) dalla redazione di una policy da parte del brand che specifichi le norme di comportamento che gli influencer dovrebbero tenere nella promozione dei propri prodotti, prevedendo specifici obblighi di disclosure nel caso in cui l’influencer sia pagato dal brand per indossare i prodotti ricevuti, posizionamento dell’hashtag e altre specifiche. Cnmi invita anche (2) alla stipula di un contratto con l’influencer o l’agenzia che ne gestisce l’immagine, al fine di rendere vincolanti come obblighi contrattuali l’inserimento di specifici hashtag e le altre regole di condotta specificate nella policy del primo punto. Il documento consiglia (3), anche in assenza di uno specifico contratto, di far sottoscrivere all’influencer per accettazione la policy del punto uno. Infine, in caso di regali agli influencer, inserire una ‘Thank you card’ (4) in cui si rinvia alla policy e si chiede all’influencer di postare un contenuto specificando (ad esempio ‘Thank you [brand] for the gift of the [product]’).
In seguito alle pratiche da attuare Cnmi propone 6 proposte per la autorità. “Al fine di rendere veramente efficace l’inserimento di specifici hashtag – si legge nel documento – potrebbe essere opportuno discutere con autorità a livello nazionale e internazionale di (1) considerare accettabile l’inserimento di un hashtag differente per i regali; considerare accettabile l’inserimento di un hashtag differente (2), creato appositamente, per il prestito dell’abito o dell’accessorio o non considerare necessario l’inserimento dell’hashtag #ad/#adv/#sponsored. Inoltre esplicitare con maggiore chiarezza in quali circostanze è necessario utilizzare l’hashtag #ad/#adv/#sponsored (3), formalizzare che, in caso di modico valore, potrebbe non essere necessario inserire alcun hashtag (4) nel caso in cui il brand paga all’influencer le sole spese di partecipazione a specifici eventi, quali trasporto e alloggio. Il punto 5 propone di precisare se i dipendenti del brand devono anch’essi utilizzare gli hashtag #ad/#adv/#sponsored, con l’espressa esclusione del direttore creativo, dell’amministratore delegato e dei personaggi pubblici rappresentativi dell’azienda. Infine considerare, nella redazione di eventuali linee guida e comunque nella comminazione di sanzioni, le caratteristiche specifiche di ciascun settore (6). Per quanto riguarda l’ultimo punto bisogna tener conto del fatto che “nella moda, più che in altri settori, le pubbliche relazioni e le relazioni interpersonali sono fondamentali. Per tale motivo non è sempre possibile, soprattutto in presenza di personaggi molto noti che non nascono necessariamente come influencer, imporre che sia specificato il relativo hashtag, in particolare se si tratta di un regalo fatto dal brand alla celebrity”. Il documento asserisce inoltre che bisogna tenere conto del grado di educazione del consumatore medio del settore che, per quanto concerne il fashion luxury, è piuttosto elevato e consapevole.
Il documento è stato elaborato dal tavolo digital istituito da Cnmi nel 2018, con il supporto degli avvocati Ida Palombella e Federica Caretta di Deloitte Legal, Studio Associato.