H&M aumenta i prezzi dei suoi capi di abbigliamento realizzati in Bangladesh per compensare i salari più alti dei lavoratori. La notizia, diffusa da Bloomberg, arriva dopo settimane di protesta da parte della manodopera del settore tessile del Paese, che reputa ancora fortemente inadeguati gli aumenti di retribuzione fissati dal governo. Il colosso svedese ha spiegato ai fornitori della regione che “assorbirà l’aumento degli stipendi nei prezzi dei prodotti” dopo che il governo ha fissato il rialzo del minimo mensile dei lavoratori del tessile a +56%, per 12.500 taka (poco più di 103 euro), a partire da dicembre.
“Sosteniamo l’implementazione di salari equi e competitivi nella nostra catena di fornitura e ci impegniamo a migliorare le condizioni di lavoro”, ha affermato H&M nel documento arrivato a Bloomberg. Tuttavia, il gruppo del fast fashion non ha risposto alle richieste di commento dell’agenzia di stampa americana.
La rivalutazione proposta dall’esecutivo bengalese risponde, come anticipato, alle proteste interne che hanno registrato anche alcune vittime, dopo settimane di mobilitazioni. I manifestanti chiedevano aumenti salariali superiori a quelli proposti dalle multinazionali con sede nella nazione dell’Asia meridionale: i lavoratori volevano infatti raggiungere un salario minimo mensile di 23mila taka (195,4 euro).
Il Bangladesh ha oggi una potente industria dell’abbigliamento che attira aziende da tutto il mondo, ‘sedotte’, appunto, dai bassi costi della manodopera. Il settore impiega circa quattro milioni di persone e nel 2022 rappresentava il 10% del Pil del Paese.
Quanto agli ultimi dati su H&M, nel terzo trimestre dell’esercizio fiscale (dati giugno-agosto) il player di Stoccolma ha visto le proprie vendite nette aumentare del 6% a 60,9 miliardi di corone svedesi (circa 5,3 miliardi di euro), progressione che la società ha definito “flat” rispetto allo scorso anno, in valuta locale .Nei nove mesi i ricavi si sono attestati a 173,3 miliardi di corone, in rialzo dell’8 per cento.