Sono giorni cruciali: se va in porto la vendita della Fila ai fondi chiusi americani, davvero per Hdp potrebbe essere venuto il momento di tirare il fiato. Unico problema, forse dovrà cambiar nome, perché la Holding di Partecipazioni nel frattempo si è trasformata in Holding di Partecipazione, al singolare, con l’unico asset fondamentale e storico dell’editoria, nelle sue declinazioni della stampa quotidiana, periodica, della pubblicità, dei libri e del multimediale (non troppo florido).
Lo stesso Maurizio Romiti, pressato da tempo dalle banche e dal mercato, e da ultimo anche dal suo potente azionista Mediobanca, ha annunciato che il gruppo intende concentrarsi nelle attività della Rizzoli. L’ultimo tassello per realizzare il progetto è ormai la cessione della Fila.
La società, presente nel gruppo fin dai tempi in cui Hdp era ancora Gemina, ha chiuso il suo ultimo bilancio in utile nel ’96: i conti, approvati nei primi mesi del ’97 (in contemporanea con la scissione Gemina-Hdp) segnalavano all’epoca un utile netto di 178 miliardi delle vecchie lire (circa 90 milioni di euro). Ma i tempi delle vacche grasse stavano per finire: il ’97 si chiude ancora in nero 55 miliardi di lire di utile ma i conti del quarto trimestre segnalano già una perdita di pari importo, 53,8 miliardi. E infatti l’anno successivo, il ’98, si chiude in rosso per 230 miliardi di lire. Da quel momento in poi la crisi si è solo aggravata, nonostante gli ingenti e onerosissimi interventi di ristrutturazione. Ora, al momento della cessione, la società si presenta con un indebitamento netto di 370 milioni di euro (al 31 marzo scorso) una perdita di 31,6 milioni di euro e un fatturato praticamente stabile, a 258,7 milioni di euro contro i 259 di dodici mesi fa (ma in discesa se lo si calcola in dollari, visto che la società è quotata a Wall Street).
Semplice capire che la vendita rappresenti una liberazione per Hdp, anche se le condizioni economiche non saranno né possono essere splendide. Discorso analogo, del resto, è stato fatto pochi mesi fa con la cessione di Valentino a Marzotto: tanti debiti e conti disastrosi non consentono di spuntare buoni prezzi, ma toglierli dal bilancio è comunque positivo. Ormai del Gft, la subholding del settore moda, non esiste più niente: vendute Marem, Sahzà e Revedi (quest’ultima a Mariella Burani), chiusi gli ultimi contratti con Ungaro, Fusco, Montanà e Calvin Klein, venduti gli impianti, l’avventura del lusso è chiusa.