Gli ultimi restyling dei marchi si traducono in una uniformità senza precedenti. Domina il maiuscolo e il font Sans-serif. Si perde in heritage, ma si guadagna su Instagram.
Uno per tutti, tutti per uno. Recentemente i marchi del lusso sembrano fare squadra nel proporre restyling di ispirazione minimalista. Se, fino a qualche anno fa, le maison rimarcavano la propria identità non solo grazie agli abiti in passerella, ma anche attraverso il proprio logo, oggi si assiste a una strategia diversa, per certi versi inversa. Nel 2012 aveva fatto scalpore la decisione di accantonare lo storico logo di Yves Saint Laurent in favore del più immediato ‘Saint Laurent’ in carattere maiuscolo bold, scelta voluta da Hedi Slimane subito dopo aver preso il timone creativo della storica griffe francese. Lo stesso designer, oggi al comando di Celine, ha eliminato l’accento dal brand di proprietà di Lvmh, facendo storcere il naso a più di qualche fashion victim.
Nell’era della massima esaltazione dell’heritage attraverso uno storytelling continuo, divulgato a ritmo di Instagram Stories, alcuni brand hanno scelto di voltare pagina presentando una nuova immagine di sé. Niente più corsivi o ‘grazie’ decorative, i nuovi loghi guardano all’imperante font Sans-serif, felici di semplificare il proprio nome a discapito di un’originalità costruita attraverso anni di brand awareness. Spesso il cambiamento combacia con l’arrivo di un nuovo creativo al comando. è stato così con l’arrivo di Demna Gvasalia da Balenciaga, e, più recentemente, con gli ingressi di Riccardo Tisci da Burberry e Kris Van Assche da Berluti. Tutti loghi che ora sembrano somigliarsi come fratelli gemelli monozigoti.
UN FENOMENO CONTEMPORANEO
In questa omogeneità, la differenza è quasi impercettibile, visibile allo sguardo più attento di chi, come Angelo Ferrara, è direttore creativo corporate branding della società di brand advisory e strategic design RobilantAssociati: “I font sono semplici, ma non perfettamente identici. Ognuno ha nella sua semplicità cercato dei piccoli dettagli, è basic ma ricercato mentre prima si puntava a una visibilità più immediata”. “Si tratta di un fenomeno – continua l’esperto – che non riguarda solo la moda. Bisogna guardare i mondi paralleli in cui siamo immersi, il digitale sta influenzando il nostro modo di vedere e di vivere le cose arricchendo il panorama. La moda deve continuamente spiccare e sceglie di farlo raccontando molto di sé attraverso l’iper-tecnicità: come si realizza un prodotto, la craftmanship, il dettaglio, la raffinatezza”. È indubbio che dai siti web ai profili social la moda raggiunga oggi un pubblico immenso, composto da addetti ai lavori, persone competenti ma anche, soprattutto, gente che ha a portata di polpastrello un universo tutto da scoprire, magari per la prima volta.
“Le informazioni che ci vengono raccontate – spiega Ferrara – erano in passato svelate a pochi, oggi tutti abbiamo la possibilità di entrare nel dettaglio della storia di un’azienda. Il logo quindi viene ridisegnato in modo molto più essenziale perché il nostro occhio deve decidere su cosa focalizzarsi. Il logo diventa un portavoce di un’identità stilistica. Non bisogna dimenticare che i millennials usano molto di più la tastiera e quindi scrivono il nome: il logo è diventato verbale”.
L’effetto tastiera influenza lo stile. “Prima il logo doveva raccontare, ora invece dice il nome. I loghi, pur essendo molto semplici, vengono stampati in maniera esagerata sulle magliette, sulle scarpe, ovunque. I marchi scelgono il bold perché se il logo viene ridotto resta comunque riconoscibile, mentre se il carattere è elaborato il digitale lo nasconde, lo frammenta, lo distrugge e l’occhio non apprezza più”, conclude Ferrara.
PERFINO TROPPO UGUALI
Tutto sembra quindi veicolato per facilitare il contatto con gli utenti online, gli stessi che hanno la possibilità di diventare immediatamente clienti accedendo agli spazi e-commerce di una griffe. Il rischio omologazione, di conseguenza, finisce per contare meno rispetto alla semplicità di visione. Anche quando l’omologazione si spinge a limite della replica. Tra gli ultimi loghi ri-disegnati, infatti, ha fatto rumore quello di Balmain voluto da Olivier Rousteing, giovane designer cui si deve il crescente successo del brand francese. A pochi minuti dalla presentazione del nuovo look, sono scattati i commenti ironici sulla somiglianza con lo storico logo di Laura Biagiotti. Chi di social ferisce, di social perisce.