Presunto sfruttamento del lavoro, attraverso l’utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina. Con questa accusa, la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani Operations, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del gruppo della moda, a seguito di un’inchiesta dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro.
Secondo l’indagine, la società avrebbe subappaltato indirettamente la produzione a società cinesi che sfruttavano i lavoratori. È stata disposta l’amministrazione controllata di un anno. Secondo gli investigatori, la Giorgio Armani Operations sarebbe stata “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. Come nel caso di Alviero Martini Spa, quindi, alla Giorgio Armani Operations viene contestato il mancato controllo della filiera.
Il meccanismo di lavoro appaltato a opificio cinesi consentiva, secondo gli atti dell’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, di poter vendere all’intermediario-fornitore una borsa finita a poco più di 90 euro e lo stesso modello arrivava poi in negozio col marchio Armani a 1.800 euro. Secondo quanto riportato dalle agenzie, non si tratterebbe di “fatti episodici”, ma di un “sistema di produzione generalizzato e consolidato” che riguarda diverse “categorie di beni”, come “borse e cinture”, e che “si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio”.
La GA operations, replica la maison in una nota, “ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura” e “collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”.
Come riporta l’agenzia Ansa, il presidente del Tribunale Fabio Roia fa sapere che il commissariamento avverrà “senza impossessamento degli organi amministrativi, consentendo quindi alla società la piena operatività sul piano imprenditoriale”. E garantirà “una affidabilità di mercato addirittura rafforzata dalla presenza del Tribunale” sotto “il primario controllo dell’amministratore giudiziario Piero Antonio Capitini”, che affiancherà il management nella bonifica dei rapporti coi fornitori. La società del gruppo Armani non è indagata, mentre sono accusati di caporalato i quattro titolari “di aziende di diritto o di fatto di origine cinese”. La produzione in quegli opifici nelle province di Milano e Bergamo, come emerge da testimonianze di lavoratori e altri accertamenti come il recupero di un “registro del nero”, era “attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi”, con lavoratori “sottoposti a ritmi di lavoro massacranti”, con pericoli “per la sicurezza” e paghe “anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”, senza ovviamente ferie, malattie, contributi o alcuna tutela.
Nella nota dei carabinieri viene riportato che “si è potuto accertare che la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. L’azienda fornitrice “dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.
Come aggiunge Ansa, uno degli imprenditori cinesi ha stilato davanti agli investigatori un elenco di altri grandi nomi della moda per cui il suo opificio ha prodotto cinture in “sub appalto”. Il presidente del Tribunale Fabio Roia, intanto, suggerisce l’avvio di “un tavolo” con la Prefettura “che consenta in via ulteriormente preventiva di cogliere le criticità operative degli imprenditori” della moda, “settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale”.