Massimo Giorgetti avrebbe potuto essere un dj. In attesa di festeggiare i primi 10 anni di Msgm durante Pitti Uomo, il direttore creativo racconta la genesi del brand facendo sempre riferimento alla musica. L’infanzia sulle spiagge romagnole, l’adolescenza tra le felpe dei paninari, gli anni nelle boutique di viale Ceccarini e le band indie che hanno ispirato la nascita del marchio da 51 milioni di euro di ricavi. Muovendosi con creatività al ritmo incalzante dello streetwear.
Cosa ha in serbo per lo show fiorentino?
Sicuramente non sarà una sfilata commemorativa. Inizialmente, avevo pensato di riproporre i pezzi più rappresentativi di questi 10 anni, ma Msgm non è un brand che guarda al passato. Ho preferito, invece, allestire una sfilata incentrata sul dna del marchio: colori, stampe fluo, arte, musica e streetwear che verrà però rivisitato in una chiave più sportswear. All’interno del Nelson Mandela Forum ci sono alcune frasi dell’attivista sull’importanza dello sport, le tribune in colori primari della location riprendono la palette di Msgm. Sarà una sfilata proiettata in avanti e non indietro.
Ha intenzione di festeggiare anche durante la fashion week milanese di settembre?
Oltre alla sfilata femminile, spero di inaugurare il nuovo negozio, sempre in zona Brera, che prenderà il posto di quello attuale. Vorrei celebrare Msgm, ma anche il mood da Riviera Romagnola che abbiamo portato a Milano.
Com’è nato Msgm?
Msgm nasce proprio a Milano, nel giugno 2008, da una chiacchierata in Porta Romana con Riccardo Grassi (proprietario dell’omonimo showroom, ndr) durante la quale mi ha consigliato di proporre qualcosa di moderno, diverso, fuori dalle righe. Nel team originale, oltre a me, c’erano un imprenditore, un giornalista e una merchandiser. Msgm è sempre stato un progetto molto ragionato, sin dagli esordi. Sapevamo di volerci rivolgere a un target giovane. Nel 2009 è arrivata la prima collezione, un anno dopo gli altre 3 membri non c’erano più, ma la mia squadra di lavoro stava crescendo.
A cosa fa riferimento il nome del brand?
Sono le iniziali dei 4 membri originari del team. All’inizio Msgm suonava strano, alcuni mi hanno suggerito di inserire anche il mio nome, ma mi sono sempre rifiutato. Per tutta l’estate del 2008 ho ascoltato il disco ‘Oracular Spectacular’ degli Mgmt e, sempre in quel periodo, usciva il singolo dei Coldplay ‘Viva la vida’. Ho tratto ispirazione dalle 4 strisce di colore che componevano la parola ‘Viva’ per la prima etichetta di Msgm, così come dall’assonanza con Mgmt. I primi capi erano ispirati proprio ai look degli Mgmt. In quel periodo alcuni brand inglesi stavano già inserendo stampe digitali e colori acidi, da Peter Pilotto a Mary Katrantzou. Ho iniziato allo stesso modo, ma sviluppando maggiormente lo streetwear convincendo prima i buyer e poi la stampa. Ho partecipato a Who’s on Next nel 2010 godendo di grande visibilità. Sebbene abbiamo iniziato con la linea maschile, è stata la collezione femminile ad avere subito un successo inaspettato. La partecipazione a Pitti Uomo nel 2013 ha dato una grande spinta al menswear e, negli ultimi 2 anni, c’è stato un vero e proprio exploit delle proposte maschili.
Dalle stampe dedicate agli storici cartoon anni 80 si intuisce che l’adolescenza ha un ruolo importante nel suo immaginario. Che ragazzo è stato Massimo Giorgetti?
Sono stato un adolescente spensierato e per niente ambizioso. Ho avuto un’infanzia bellissima in Romagna da cui ho tratto un’importante stabilità psichica. Provengo da una famiglia che ha saputo godersi la vita pur non avendo grandi disponibilità economiche. Mi sono divertito tanto, senza prendere brutte strade, pur avendo frequentato il clubbing di Rimini e Riccione. Sono cresciuto a Longiano, a pochi minuti da San Mauro Pascoli dove vengono prodotte le calzature per brand come Giuseppe Zanotti, Sergio Rossi, Vicini, Casadei. Durante gli anni delle superiori è nata la passione per la musica, in Romagna hanno una cultura musicale pazzesca, ancora oggi ci sono rock club molto validi. A 14 anni ho assistito al primo concerto italiano dei Bran Van 3000, un martedì sera ero a un live di Pete Doherty insieme a dieci persone, gli anni 90 mi hanno formato. Ho avuto inoltre la fortuna di assorbire sin da subito dei forti stimoli estetici. Il fratello di mio babbo aveva un ricamificio in cui venivano realizzati i capi di Best Company, El Charro, Iceberg, Americanino. Dal 1997 ho lavorato per 2 anni come commesso da Nick and Sons, storica boutique in viale Ceccarini a Riccione. Erano gli anni di Helmut Lang, Gucci, Tom Ford. Da quell’esperienza ho compreso cosa desidera la gente, e da allora non è cambiato nulla, le regole sono le stesse.
Dopo anni di boom c’è chi pronostica un calo dello streetwear, avverrà?
Credo ci sarà un’evoluzione. Lo streetwear deve abbandonare quei canoni facili da cui abbiamo attinto tutti: logo, denim, colore. Bisogna studiare nuove soluzione. Per l’uomo, lo streetwear deve diventare sportswear. La vera novità e la voglia di tessuti più classici mixati con elementi informali.
Oltre a Milano ci saranno altri store in Italia?
Sul territorio nazionale siamo presenti in 150 negozi donna e oltre 100 store uomo, preferiamo preservare il rapporto che abbiamo con questi clienti.
Qual è il suo rapporto con i social network? Come crede dovrebbero essere utilizzati dai fashion brand?
I social hanno modificato le nostre vite in 10 anni. Negli ultimi 5, Instagram ha ribaltato la moda. L’era digitale ha cambiato tutto. Oggi il significato dato a una canzone è completamente diverso. Prima si aspettava l’uscita del cd, si ascoltavano tutti i brani all’infinito. Oggi invece non si scarica neanche più l’album, al massimo si ascolta il singolo un paio di volte. Nella moda abbiamo molte più informazioni, siamo bombardati di foto e una volta trovata la giusta distanza bisogna capire cosa farne. Personalmente utilizzo Instagram con curiosità, anche come ricerca per vedere come veste la gente. Cerco di non cadere nel narcisismo da designer, di non fare troppi selfie. Per Msgm c’è un team di giovani talenti sempre più attivo. I brand devono svelare con parsimonia, bisogna mantenere un senso di attesa, di sogno.
A proposito di attesa, cosa ne pensa della formula ‘see now-buy now’?
Non ci ho mai creduto perché, avendo lavorato in negozio, so che aspettare qualcosa è un valore, avere voglia serve.