La nota polo nera con la corona d’alloro e la doppia striscia gialla firmata Fred Perry non verrà più commercializzata negli Usa e in Canada. È la decisione presa dal marchio di abbigliamento inglese, per decenni associato alle sottoculture britanniche e in una certa misura alla sinistra, che da anni vede utilizzata la sua polo come “uniforme” dei Proud Boys, gruppo neo nazista americano.
“Nonostante il suo lignaggio, abbiamo visto che la maglia con la doppia riga nera e gialla sta assumendo un significato diverso in Nord America a causa della sua associazione con i Proud Boys e questa associazione è qualcosa che noi dobbiamo far cessare”, fa sapere l’azienda in una nota. “Per essere assolutamente chiari: qualsiasi materiale o prodotto di Proud Boys con la nostra corona di alloro o qualsiasi elemento correlato nero e doppio giallo, non ha assolutamente nulla a che fare con noi e stiamo lavorando con i nostri avvocati per perseguire qualsiasi uso illegale del nostro marchio”.
Nella nota, inoltre, Fred Perry fa notare come sia stato “incredibilmente frustrante” vedere la polo e il suo logo associati a un movimento del genere, visto che il brand ha sempre cercato di rappresentare “l’inclusività, la diversità e l’indipendenza” e che, storicamente, è sempre stato un “pezzo della sottocultura britannica”.
“Fred era figlio di un parlamentare socialista della classe operaia che divenne un campione del mondo di tennis in un momento in cui il tennis era uno sport elitario – commenta John Flynn, Presidente di Fred Perry. – Ha avviato un’attività con un uomo d’affari ebreo dell’Europa orientale. È un peccato che dobbiamo anche rispondere a domande come questa. No, non supportiamo gli ideali o il gruppo di cui parli. È contrario alle nostre convinzioni e alle persone con cui lavoriamo”.
In passato, è successo più volte che un brand di moda internazionale venisse, suo malgrado, associato ai neonazisti. Negli anni Ottanta e Novanta, tra i movimenti skinhead di estrema destra tedeschi diventarono molto popolari le maglie del marchio inglese Lonsdale, che venivano modificati alle estremità per ottenere la sequenza “NSDA”, acronimo del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori di Adolf Hitler. Più di recente, i movimenti di estrema destra hanno parzialmente abbandonato i marchi fashion, che tra l’altro hanno sempre preso le distanze da questa clientela (con campagne quali “Lonsdale Loves All Colors” e comunicati ufficiali contro ogni estremismo) per rivolgersi a aziende di abbigliamento medio-piccole, che gli consentono di fare propaganda. Il caso da manuale è quello della tedesca Thor Steinar, che nel 2010 è diventata la griffe degli estremisti grazie agli slogan incentrati su lotta all’Islam, antisemitismo, difesa delle radici religiosi ed etniche.
Uno degli ultimi casi riguarda Adidas, finita in una bufera per una campagna social che, grazie ad un algoritmo, permetteva ai tifosi di vedere il nome del proprio account Twitter sulle spalle di una maglia da partita. Numerosi account Twitter creati ad hoc con nomi offensivi (alcuni evocativi di tragedie come l’Olocausto o la strage di Hillsborough) hanno però portato il colosso tedesco a bloccare l’iniziativa, per la difficoltà di arginare la diffusione dei messaggi negativi generati dall’intelligenza artificiale.