In che modo il fast fashion ha imboccato la strada della sostenibilità? È questa la domanda cui ha provato a rispondere l’analisi Il fashion sostenibile nel 2021: la verità sulle collezioni ecologicamente sostenibili redatta da Retviews, azienda specializzata in data analysis che fa capo a Lectra. In questo anno e mezzo di pandemia, l’analisi riflette sul fatto che l’interesse per le tematiche green non sembra essersi affievolito, ma, anzi, aver conosciuto un boost senza precedenti. In tempi di crisi, spiegano gli autori, ci si poteva aspettare che passasse in secondo piano, ma oggi sembra che stia accadendo l’esatto contrario: le aziende di ogni dimensione sono impegnate a ridurre le proprie emissioni di Co2 per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Tuttavia, a mancare è proprio una definizione standard di fashion sostenibile, che governi e aziende del settore non hanno ancora universalmente elaborato.
Lo studio è stato condotto dalla piattaforma Retviews tra un campione di brand di fast fashion in Francia, Italia, Spagna, Germania e Regno Unito. Nel monitoraggio su Zara, Mango, H&M e C&A emerge come Zara e C&A abbiano ridotto la quota di prodotti sostenibili nelle collezioni del 2020, mentre la percentuale è aumentata per H&M e Mango.
La ricerca, poi, si focalizza su un nuovo equilibrio tra spinta al consumo e riduzione delle scorte in magazzino. Da un lato, le aziende si interrogano su come spingere i consumatori a rinnovare con meno frequenza il proprio guardaroba, adottando ritmi produttivi più etici ed ecologicamente compatibili. Nel contempo, secondo lo studio, una delle grandi sfide del settore è ridurre il numero di articoli invenduti e le scorte, molto costose, soprattutto alla luce dell’attuale crisi sanitaria, dopo vari mesi di chiusura dei negozi. In questo contesto, in che modo le aziende del settore possono impegnarsi per rendere più sostenibili e redditizi i processi di produzione?
In base ai risultati, i brand del fast fashion sembrano aver trovato un modo per investire principalmente in articoli sostenibili essenziali, i cosiddetti ‘Never Out Of Stock (NOOS)’. Questa strategia consente di continuare a produrre in alti volumi per mantenere i margini di profitto, riducendo al contempo il numero di prodotti invenduti, dato che gli articoli di vestiario possono essere messi sul mercato anche nella stagione successiva. Questa sembra essere la logica dietro alla decisione dei brand di offrire collezioni seasonless e/o frammentate, in modo da garantire le vendite e i margini. La conseguenza è che i prodotti di fashion sostenibili più popolari sul mercato globale sono le t-shirt (27%), i pantaloni (8%) e i jeans (7%).
La ricerca Retviews affronta anche la tematica dei prezzi, smentendo la convinzione diffusa che le collezioni eco-friendly siano più costose di quelle tradizionali. Mango, ad esempio, è riuscito a uniformare i prezzi delle sue collezioni e H&M vende addirittura alcuni articoli di fashion sostenibile a prezzi inferiori rispetto alle altre linee. Per contro, mentre i prezzi al dettaglio medi tendono a uniformarsi, le collezioni sostenibili vengono offerte in sconto meno spesso. Ciò può essere spiegato dalla necessità dei brand di proteggere i margini, come spiegato in precedenza.
Al di là di strategie, successi e fallimenti della missione aziendale green, il tema della sostenibilità resta cruciale e la sua centralità sarà sempre più dominante nell’agenda del settore. Per questo monitorare lo sviluppo dei brand e confrontarlo con quello della concorrenza, conclude Retviews, è fondamentale per elaborare una strategia vincente, oppure per adattare la propria a quella dei competitor.