Il fenomeno delle vendite di abbigliamento nel canale della Gdo è ormai un affare miliardario in Gran Bretagna. Ora sta crescendo anche in Italia con Lidl e Carrefour.
Una sfilata nel reparto frutta e verdura. O una presentazione nella sezione surgelati. L’alta moda ha sdoganato il legame tra fashion e supermercato con la scenografica sfilata di Chanel del 2014, interpretando gli spazi della Gdo come una delle tante cornici in cui mettere in scena le collezioni da mille e una notte. In realtà, la moda ‘meno alta’ ha da tempo consolidato il rapporto col supermarket, adattandolo alle sue esigenze comunicative, e facendone, soprattutto all’estero e in modo particolare nei Paesi anglosassoni, un business miliardario. In Gran Bretagna, per esempio, ogni dieci sterline di spesa nei supermercati, una va in shopping di moda. Già nel 2004, l’etichetta F&F di Tesco era arrivata a fatturare oltre un miliardo di sterline. ‘Tu’, il brand di moda di Sainsbury’s, rappresenta il settimo marchio di abbigliamento nel Regno Unito per volume, e, secondo il Telegraph, oggi la parte moda vale circa 800 milioni di sterline di giro d’affari per la catena britannica. Ora, anche in Italia, il fenomeno del fashion nella grande distribuzione inizia a guadagnare terreno. I player che stanno puntando su questo trend sono ancora pochi. Ma agguerriti e con una notevole potenza di fuoco. Da proposta di moda basica e low price, infatti, le private label della Gdo mirano a scardinare il mondo del fashion giocando le sue stesse carte. Quali? Campagne accattivanti e pop up store in aree chiave della città, oltre a collezioni costantemente aggiornate. Il tutto condito con un plus: la comodità di poter fare shopping mentre si fa la spesa.
LA SFIDA CORRE SUL FAST FASHION
In Italia, prima a lanciare una collezione moda è stata Coop nel 2012. Il progetto, che si chiamava Solidal, era composto da una cinquantina di pezzi basici per uomo, donna, bambini firmati da Katharine Hamnett con una netta impronta equo-solidale. Già nel 2007, Coop aveva proposto una piccola linea di abbigliamento con capi con analoghi intenti. In entrambi i casi, però, l’esperimento non ha trovato seguito, forse proprio perché legata a un concetto etico e con minore attenzione ai dettami (anche estetici) delle tendenze. Così, il connubio moda e sostenibilità è finito nel cassetto. Sorte diversa, invece, per chi ha scelto la proposta moda depurata da istanze solidali. È il caso di Lidl e della sua linea di abbigliamento, disponibile in Italia dal 2009. Un progetto di successo, tanto che dalla moda donna a marchio Esmara, il gruppo tedesco di hard discount ha esteso la sua proposta, oltre al kidswear, al segmento tecnico per lo sport e il tempo libero con l’etichetta Crivit e Crivit Pro. Fino al salto di qualità avvenuto lo scorso settembre, quando la linea Esmara ha aperto un temporary store ad Amburgo. Un opening che ha fatto scalpore per la location particolare: Wall Neue è la via commerciale che ospita i negozi di Louis Vuitton, Gucci, Hermès e Ferragamo. Difficile che la stessa soluzione venga riproposta anche in Italia, dove tradizionalmente le suddivisioni tra alto di gamma ed entry price rappresentano uno degli assi portanti del nostro sistema retail. Tuttavia, le contaminazioni tra moda e carrello della spesa è ormai un dato di fatto. I dati sulle vendite di moda nel segmento dei discount Lidl sono riservati, ma l’azienda, contattata da Pambianco Magazine, ha fatto sapere che “le private label Lidl in ambito moda hanno registrato nell’ultimo anno una crescita a doppia cifra, in particolare per quanto riguarda l’abbigliamento sportivo e baby. L’obiettivo aziendale è attestarsi nel canale fast fashion raggiungendo una quota di mercato sempre maggiore”. Anche la francese Carrefour ha scelto di investire sul canale fashion. L’asso nella manica della catena di supermercati vuole essere una comunicazione d’impatto. Il messaggio implicito è che non esistono solo gli specialisti del fast fashion come Mango o H&M. Ora, nel supermercato si entra anche per fare shopping di moda. Nel 2016, la campagna pubblicitaria dal claim ‘Belli da svestire’ è stata veicolata attraverso affissioni in metropolitana a Milano e in centro città, e si inserisce in un percorso intrapreso da Carrefour già due anni fa attraverso il camerino virtuale e il digital mirror negli store di Carugate e di Nichelino, ed alcuni eventi nel punto vendita come la sfilata di moda. “Certo – ha raccontato a Pambianco Magazine Sebastien Jan, Direttore Tessile Carrefour Italia – il tessile ha ancora una incidenza piuttosto limitata nelle vendite globali di Carrefour, ma sta crescendo. Per esempio, lo scorso anno le vendite di total look sono aumentate del 10 per cento. Un ottimo segnale dei tempi che cambiano. Il consumatore non è più fedele al brand. Può acquistare in posti diversi. Noi, dal canto nostro, abbiamo cercato di lavorare il più possibile sul prodotto tenendo fermo un concetto chiave: il prezzo. Il modello? Se devo fare un nome direi Primark”.
di Milena Bello