I profili social nati per smascherare chi copia tengono la moda sotto tiro. Ma emergono i primi dubbi di credibilità. E di rischi per il sistema, legati alla mancanza di regole.
Basta elogi, adesso è il momento della critica. Sui social. Da sempre abituato a ricevere plausi da blogger e influencer, il sistema moda pare avere scoperto in tempi più recenti il potere dirompente della critica sui social network e percepisce in tutta la sua potenza il rischio di account Instagram pronti a metterlo alla berlina davanti a un immenso seguito. Tutto iniziò da Diet Prada, profilo aperto nel 2014 da Tony Liu e Lindesy Schulyer, due giovani creativi che hanno iniziato smascherando i plagi degli stilisti, con un tono irrivirente e divertente. Il nome scelto per l’account è un omaggio a Miuccia Prada, che definiscono l’originalità per eccellenza, e alla Diet Coke, cioè la Coca Cola Light, la copia per eccellenza. Nel tempo, il duo è riuscito a raccogliere oltre un milione di seguaci e si è svincolato dalla sola idea di copia: con sempre maggiore frequenza, sulla pagina vengono postate anche dichiarazione razziste, sessiste o semplicemente inopportune di stilisti e brand, e persino comportamenti privati. I follower (o “dieters’, come si definiscono), nei commenti, sembrano apprezzare, e spesso buttano ultriore benzina sul fuoco, alimentando un clima di maggiore trasparenza ma anche di aggressività esponenziale. Tutti, nel settore, hanno paura di inimicarsi l’account e, a maggior ragione, dopo l’ultimo avvenimento: il boicottaggio di Dolce & Gabbana in Cina è in parte stato dovuto ai messaggi privati, razzisti e offensivi dello stilista Stefano Gabbana, che vennero resi pubblici proprio da Diet Prada.
OLTRE DIET PRADA
Sulla scia del successo di Diet Prada, gli account di questo tipo si sono moltiplicati: tra i più famosi Estée Laundry nel beauty, Haute Le Mode (che si fa gioco di stilisti e aziende con dei meme) e Retail Slam Book, che racconta i meccanismi dietro i grandi marchi di abbigliamento. Il motivo di un così largo seguito è da individuare in diversi fattori: il disamore (specie da parte dei Millennials) verso i media tradizionali e, di recente, anche verso gli stessi influencer, giudicati da molti come prezzolati; la volontà di rimanere sempre aggiornati, anche al di fuori dei canali ‘standard’; il tramonto di una visione apologetica dell’industria della moda, a favore di interpretazioni più complesse e critiche; e, da ultimo, una naturale tendenza umana a essere incuriositi dal lato oscuro delle cose, piuttosto che da quello filtrato e ‘regolare’ che viene normalmente proposto. Inoltre, i fondatori di questo account sono stati bravi anche nell’ingaggiare un rapporto molto stretto con i follower, che spesso diventano protagonisti essi stessi, inviando le loro soffiate o screenshot di messaggi privati con persone del settore.
I RISCHI DEL MESTIERE
Se le intenzioni rimangono quelle di illuminare il pubblico sul funzionamento del settore della moda e del beauty, il risultato è però anche quello di alimentare una certa rabbia contro di loro. Non sempre motivata. In mancanza di una deontologia di qualsiasi tipo, inoltre, il confine tra informazione e boutade rimane spesso labile: a volte gli account non verificano le fonti e i contenuti, e finiscono per riportarli semplicemente per come sono, chiedendo un parere ai follower. Inoltre, è da considerare che alcuni di questi account non si sa con esattezza da chi vengano gestiti: il fondatore di Estée Laundry, per esempio, non ha mai voluto rivelare la propria identità e anche il duo dietro a Diet Prada si è esposto solo tempo dopo l’apertura del canale. Tutti motivi per cui a questi tipi di account, oltre ai seguaci non mancano anche i detrattori, che li accusano di ‘caccia alle streghe’ e di forzare troppo la mano. Al momento l’impressione, che serpeggia anche sulla stampa americana, è che si debba ancora trovare una giusta via di mezza tra il giornalismo non compiacente e la bagarre social. L’innata capacità di rottura dei social, in sostanza, per spingere davvero il settore a cambiare senza accendere fuochi ingiusti, ha bisogno di essere accompagnata da etica e professionalità che includa una verifica delle fonti, un diritto di replica, e un’identità non più celata.