Recensioni entusiaste e commenti meno generosi hanno accolto due dei debutti più attesi dell’attuale Paris Fashion Week. Si tratta degli esordi di Chemena Kamali e Seán McGirr, rispettivamente al timone creativo di Chloé e Alexander McQueen. Due storiche maison del lusso dal dna stilistico rilevante, entrambe a una svolta seppur con trascorsi differenti. L’arrivo di Kamali, annunciato lo scorso ottobre, segue il percorso mai pienamente nitido di Gabriela Hearst alla guida della griffe. “La visione di Chemena celebrerà davvero il dna unico di Chloé. Chemena è sia la direttrice creativa che l’incarnazione dello spirito Chloé”, aveva dichiarato Riccardo Bellini, presidente e CEO della maison che fa capo a Richemont. Le parole del manager si sono rivelate lungimiranti, almeno stando alle review della prima sfilata della creativa tedesca, ex design director del ready to wear femminile per Anthony Vaccarello presso Saint Laurent.
“Potrebbe esserci una persona migliore e più qualificata da nominare in Chloé di Chemena Kamali? L’energia che ha portato al suo défilé di debutto per la label – tutto volant boho, capispalla eleganti e tonnellate di accessori – è stata la testimonianza del fatto che questa, in effetti, è la terza volta che entra nella maison”, scrive la critica di Vogue Us facendo riferimento alle esperienze della stilista come junior designer ai tempi di Phoebe Philo e di nuovo sotto la direzione creativa di Clare Waight Keller (2011-17).
“Kamali non avrebbe potuto fare di meglio – scrive entusiasta The Cut -. Lo hanno detto gli applausi travolgenti. Ha stabilito una nuova voce, basata sul linguaggio di Chloé. E non si è adattata facilmente a questa collezione, l’ha affrontata marciando, come le modelle che giravano per la sala con i loro fronzoli e gli stivali da moschettiere. E quella fiducia è davvero ciò che conta. Perché ci rende curiosi: cosa ci mostrerà Chemena Kamali la prossima volta?”. Altrettanto lusinghiera la recensione del New York Times: “Kamali ha vinto il jackpot. Non solo ha Chloé nel sangue, avendo lavorato nei team di Philo e Waight Keller, ma, mentre si inchinava alla fine dello show con indosso una camicia beige, un groviglio catene dorate e quei jeans a vita alta, praticamente brillava dell’energia della Chloé Girl. Anche se ha 42 anni ed è madre di due figli. Come mi ha detto un collega dopo lo spettacolo, ‘I’ll have what she’s having'”.
Giudizi meno unanimi per la prima passerella del giovane stilista irlandese Seán McGirr da Alexander McQueen. Dopo la scomparsa dell’omonimo fondatore nel 2010, il timone creativo della maison del colosso Kering è stato affidato alla sua collaboratrice Sarah Burton, ruolo che ha lasciato dopo l’acclamata sfilata pagina dello scorso settembre. “McGirr è, in altre parole, il primo designer a guidare il marchio senza alcun legame particolare con esso, e si vede. In un’anteprima, ha parlato con entusiasmo della collezione primavera 1995 di Alexander McQueen, ‘The Birds’, così come dell’East End di Londra, degli spigoli e dei ribelli, ma il risultato sembrava la versione dance di TikTok di McQueen. Aveva energia, ma non profondità”, chiosa il New York Times, definendo “impossibile da identificare”, il messaggio dietro gli abiti.
Il designer, nominato ad ottobre, ha precedentemente guidato il ready-to-wear maschile di Jw Anderson, aggiungendo in seguito anche il womenswear. Tra le sue passate collaborazioni spiccano quelle con Dries Van Noten e Christophe Lemaire x Uniqlo precedute dal ruolo di assistente da Burberry e Vogue Hommes Japan. “McGirr sembrava avere nel mirino il primo periodo di McQueen, i giorni in cui sembrava abbigliamento da strada e da club – scrive The Guardian -. La visione di McGirr non ha ancora né l’intensa brillantezza né la maestria sartoriale dell’originale McQueen, ma questa prima proiezione sembrava mirata a evocare la spigolosità tagliente di quell’epoca, piuttosto che il delicato folklore britannico da Principessa del Galles che si è evoluto sotto Burton”.
“I suoi enormi bozzoli di maglieria, dieci tonnellate di felpe con cappuccio, sdrammatizzati abbinandoli a tute di flanella grigia o una gonna di jeans incarnano perfettamente il ‘rough drama’ che McGirr desiderava – scrive Business of Fashion apprezzano il lavoro del debuttante -. È stato un elemento chiave degli esordi di Lee Alexander McQueen, e se questo suggerisce una compatibilità fondamentale, ne sono felice. Perché la connessione c’è davvero, se quei leoni da tastiera vogliono fare un passo indietro dalla loro politicizzare la moda e dare una possibilità al nuovo portabandiera”. “Quando si assiste a un debutto, devi decidere se esiste il potenziale per un designer di diventare qualcosa di eccezionale (o almeno divertente). McGirr sembra uno studente entusiasta della sua nuova casa, e idee come i suoi top alti e rigidi e le maglie oversize potrebbero evolversi in qualcosa di più sofisticato – si legge sul Washington Post -. Piuttosto che cercare di sostenere la fantasia di McQueen di un tempo, McGirr farebbe bene ad allontanarsi dalla luce verde oltre l’acqua (citazione dal romanzo ‘The Great Gatsby’, ndr) e costruire il proprio futuro, guardando a McQueen per la sua schiettezza e la sua incapacità di scendere a compromessi”.