Si prospetta un anno in chiaroscuro per il calzaturiero italiano. Inizio nettamente positivo per il comparto, che nel primo trimestre del 2022 ha segnato una crescita sia dell’export (+21,4% a valore) sia della spesa delle famiglie (+20,6 per cento). A fornire una fotografia del suo andamento è il Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici, presentata in occasione dell’assemblea nazionale dell’associazione insieme ai consuntivi per il 2021. L’anno ha visto il fatturato complessivo dell’industria calzaturiera tricolore tornare a 12,7 miliardi di euro (+18,7%, ma ancora al di sotto dell’11% rispetto ai 14,3 miliardi del 2019 pre-Covid) e la produzione nazionale a 148,8 milioni di paia (+13,8 per cento).
Nella prima frazione del 2022, fatturato, produzione industriale, export e consumi interni hanno registrato crescite a doppia cifra sull’analogo periodo del 2021. Ciò ha favorito, sul fronte occupazionale, un primo allentamento delle tensioni: malgrado sia proseguito il calo delle imprese attive (-36 il saldo da inizio anno), a fine marzo è emersa un’inversione di tendenza nel numero di occupati, con un timido rimbalzo rispetto al dicembre scorso (+209 unità, +0,3%), dopo il trend decisamente negativo degli anni recenti (-4.300 occupati solo nell’ultimo biennio).
Il ritorno a ritmi di attività meno penalizzanti rispetto a quelli dei mesi di pandemia ha indotto anche, inoltre, un forte ridimensionamento nel ricorso agli ammortizzatori sociali (-72% nei primi 5 mesi a confronto col 2021), benché il numero di ore autorizzate nella filiera pelle (7,1 milioni) risulti ancora più che doppio (+121%) se raffrontato con quello di gennaio-maggio 2019.
Uno scenario di generale ripartenza ma denso di incertezze sul prossimo futuro che invitano alla prudenza. “Il progressivo recupero che stava riportando le aziende del settore ai livelli pre-pandemici (quasi due imprese su tre hanno chiuso il 2021 con fatturato ancora inferiore a quello 2019) – ha spiegato Siro Badon, presidente di Assocalzaturifici – ha dovuto però fare i conti, da fine febbraio, con lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, e con il conseguente crollo, a partire da marzo, dei flussi a loro diretti (-52% in valore nel bimestre marzo-aprile le vendite ai due mercati)”-
Proseguendo: “Particolarmente colpiti, ovviamente, i distretti calzaturieri tradizionalmente esposti in queste aree (in primis quelli marchigiani e romagnoli), che hanno registrato l’annullamento delle spedizioni di merce in consegna e degli ordinativi in portafoglio. Agli eventi bellici si sommano poi il problema dell’impennata dei costi energetici e l’assenza di riduzioni significative nei prezzi delle materie prime, da molti mesi su livelli decisamente elevati, oltre al timore di una recrudescenza delle varianti del virus”.