La domanda di materie prime sostenibili nella moda supererà l’offerta di 133 milioni di tonnellate al 2030 e colmare il gap delle materie sostenibili potrebbe portare le aziende del comparto a un aumento medio del profitto del 6 per cento. Sono questi i dati che emergono dallo studio di Boston Consulting Group (BCG), in collaborazione con Textile Exchange e Quantis dal titolo ‘Sustainable Raw Materials Will Drive Profitability for Fashion and Apparel Brands’, che ricorda come “nei prossimi quattro anni entreranno in vigore oltre 35 nuove norme per il comparto fashion in tutto il mondo legate alla sostenibilità”, che punteranno, tra le altre cose, a limitare le importazioni di prodotti, creare delle linee guida per il design dei prodotti e stabilire i requisiti per l’etichettatura.
Il settore sembra accelerare il passo verso la transizione green: oltre l’85% dei brand leader di vendite ha dichiarato pubblicamente obiettivi di decarbonizzazione per le proprie supply chain. Le materie prime hanno un ruolo fondamentale poiché costituiscono fino a due terzi dell’impatto climatico di un marchio di moda. Assicurare alle aziende l’accesso a materiali sostenibili è urgente, tuttavia, la domanda di materie prime a basso impatto climatico (definite per questo “preferibili”) potrebbe, appunto, superare l’offerta fino a 133 milioni di tonnellate entro il 2030 (pari a più di sei volte la produzione indiana di questi materiali nel 2021).
“Le aziende del settore affrontano oggi una doppia sfida: raddoppiare gli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio e, allo stesso tempo, riuscire ad adattarsi velocemente alle normative in arrivo – ha dichiarato Guia Ricci, managing director e partner di BCG. – Il successo su entrambi i fronti richiede una strategia strutturata che non solo prenda in considerazione la necessità di materie prime sostenibili, ma che sia in grado di garantirne la fornitura per il futuro”. La prima necessità da affrontare riguarda la capacità di aumentare significativamente la quota di materie prime “preferibili” all’interno del proprio portafoglio.
Le regolamentazioni che saranno definite nei prossimi anni potrebbero generare delle difficoltà di assestamento, ma non adeguarsi alla normativa vigente rappresenta una minaccia per le aziende e i loro profitti, “poiché – spiega il report – “i prodotti potrebbero non accedere ai mercati finché non soddisfano i requisiti previsti, compresi quelli sull’etichettatura, mettendo a rischio fino all’8% dell’ebit generato”.
Nonostante il crescente numero di impegni e obiettivi di decarbonizzazione in tutta l’industria della moda, questa non ha ancora mandato un segnale forte ai fornitori sul crescente uso di materia prime “preferibili”, con il conseguente disallineamento con produttori di materie prime e agricoltori, i quali non si sentono ancora pronti ad assumersi i rischi legati ad un aumento dell’offerta di materiali sostenibili. Il rapporto stima, infatti, che nel 2030 solo il 19% dei materiali prodotti sarà sostenibile, data l’attuale mancanza di economie di scala.
“Sempre più chief sustainability officer della moda italiana si stanno muovendo per incentivare l’efficientamento energetico dei propri fornitori diretti, attivando progetti dedicati per supportarli nella raccolta dati e nel calcolo di obiettivi di riduzione delle emissioni – ha spiegato Luca Mosca, fashion & sporting goods lead di Quantis in Italia-. Questa necessità è una delle ragioni per cui sempre più brand del lusso fanno scelte di integrazione verticale, portando realtà leader italiane a porsi come conglomerati di expertise dell’eccellenza manifatturiera nazionale. Per le maison si tratta dell’opportunità di lavorare con filiere più vicine, dal punto di vista geografico e non solo”.
Il rapporto delinea infine alcuni principi per l’implementazione di una solida strategia di materiali, che vanno dallo sviluppo di una tracciabilità completa – per ridurre i rischi delle supply chain e comprendere pienamente l’impatto di ogni materiale -, all’utilizzo di un approccio scientifico per rafforzare il processo decisionale e soddisfare gli stakeholder. Diversificare il portafoglio di materiali renderebbe inoltre le operazioni più resilienti. Vanno di pari passo le necessità di assicurarsi che le conoscenze, gli strumenti e gli incentivi siano condivisi in tutta l’azienda e di rafforzare i rapporti con i fornitori lungo la filiera.