“Si trattava di spingere l’organizzazione a interpretare il brand per quello che era, a ritrovare il proprio Dna”. A parlare è Alessandro Bogliolo, CEO di Tiffany dal 2017, che in un’intervista a l’Economia del Corriere della Sera, è entrato nel vivo del suo piano strategico per dare un nuovo smalto al colosso americano della gioielleria.
“Conoscevo molto bene l’azienda essendone stato concorrente – ha spiegato il manager al quotidiano italiano – e ne avevo il massimo rispetto perché, se sei del settore, guardi a Tiffany come l’autorità dei diamanti, l’autorità del platino, l’autorità dello sterling silver, con un network di negozi monomarca e senza multimarca wholesale. Però ero un po’ preoccupato perché durante gli ultimi tre-quattro anni le vendite erano rimaste piatte mentre tutto il lusso, non solo la gioielleria, era cresciuto. Mi domandavo come fosse possibile che un marchio così fosse fermo”.
La ‘cura Bogliolo ‘ ha già dato i suoi frutti nel primo trimestre del 2018. Tiffany ha chiuso il primo trimestre del 2018 con utili in aumento del 53% per 142 milioni di dollari (circa 121 milioni di euro), a fronte di ricavi globali in crescita del 15% a 1 miliardo di dollari, meglio dei 959,4 milioni attesi da Wall Street. Segno più per la performance di vendita in tutte le aree geografiche, con l’Asia-Pacific a +28%, il Giappone a +17%, l’Europa a +13% e le Americhe a +9 per cento.
All’inizio di maggio ha debuttato su mercato Paper Flowers, la collezione di esordio di Reed Krakoff come direttore artistico di Tiffany & Co. La linea è parte centrale della strategia di Tiffany di introdurre sul mercato “più collezioni più spesso”, per stimolare i consumatori.
“Io ho fatto solamente tre cose – ha raccontato Bogliolo a l’Economia – , il resto lo ha fatto la squadra. La prima è stata definire la strategia insieme ai manager e senza consulenti esterni. La seconda, comunicare a Wall Street che il 2018 sarebbe stato un anno di investimenti e che i rendimenti sarebbero stati in linea con quelli degli anni precedenti, anche di fronte a un aumento delle vendite, perché la nostra intenzione era reinvestire nel marchio. Infine, ho fatto “l’evangelista”: ho parlato con le persone dicendo loro che avevamo un marchio eccezionale, un’azienda fortissima, di cosa dovevamo avere paura? Questo ha scatenato la fiducia”.