Lasciare l’iPad per tornare a sfogliare il quotidiano di carta e inchiostro sorseggiando il proprio drink preferito, circondati da fidati amici di vecchia data. È un’immagine che suscita un certo fascino in tempi di bagarre quotidiana, e di frenetico mutamento dei costumi. Un’immagine da Gentlemen Club di una volta. Il cui concept torna a riproporsi oggi in maniera convinta, secondo la formula tradizionale, ma anche secondo modelli adattati alle più recenti esigenze del lusso.
Librerie, poltrone in pelle, tappeti e open bar sono elementi imprescindibili, ma, tutto sommato, presenti anche nei più comuni Country Club. Cosa rende così speciali questi salotti tanto ambiti e, allo stesso tempo, così misteriosi? C’è, evidentemente, il mito di un confronto dal vivo con i protagonisti dell’articolo di finanza che si sta leggendo in attesa che venga servita la cena. E poi feste, ricevimenti, vernissage, concerti, partite di bridge e sfide a biliardo si alternano a confidenze personali, preziosi scambi di informazioni economiche e politiche.
In effetti, già dagli esordi, i Gentlemen Club si caratterizzano per uno spiccato legame tra affari e piacere. Come spesso accade quando si parla di evoluzioni sociali, è l’Inghilterra a generare il culto per questi club – il cui accesso è vietato alle donne se non in veste di ospiti – che prendono vita alla fine del diciottesimo secolo come ritrovo per aristocratici con il vizio del gioco d’azzardo.
Se il diciannovesimo secolo vede l’esplosione del fenomeno – si contavano oltre 400 Gentlemen Club nella sola Londra – è anche grazie alle numerose tipologie di club che selezionano gli iscritti in base a hobby, lavoro, sport, politica così da poter facilitare l’integrazione reciproca. È però nel ventesimo secolo che i club iniziano a essere caratterizzati da un’eleganza sempre più ricercata: angoli bar, camerieri in livrea, divani foderati, giardini e librerie ricreano un ambiente confortevole dedito al relax con un occhio di riguardo alla lista dei soci.
In America i Gentlemen Club contemporanei di stampo tradizionale sono spesso legati a college prestigiosi (in primis quello di Yale con i suoi undicimila iscritti), iniziative filantropiche, musei e circoli connessi alle più disparate categorie professionali. In Europa invece si respira ancora l’essenza di quelle atmosfere di consumata sofisticatezza tanto care a icone dello stile quali Lord Brummel, Gabriele D’Annunzio o Gianni Agnelli. Boodle’s a Londra, il Nouveau Cercle a Parigi, il Turf a Lisbona.
In Italia, spicca il meneghino Clubino, fondato nel 1901 e, da subito, cartina di tornasole per aristocratici e borghesi. L’accesso allo storico club con sede nel cinquecentesco Palazzo degli Omenoni è tutt’altro che scontato anche per nomi altisonanti (gli annali ricordano due bocciature eclatanti: Gianmarco Moratti e Alessandro Benetton).
Impossibile delineare l’identikit del socio ideale, non basta vantare virtù quali riservatezza ed eleganza, è necessario essere privi di qualsiasi frequentazione da gossip nazionalpopolare. Lo scopo dei Gentlemen è anzitutto tramandare l’esclusività del club evitando qualsiasi contaminazione pop.
Per chi volesse respirare l’atmosfera dei Gentlemen Club sottraendosi alle stressanti selezioni, Diego Della Valle ne ha presentato una sorta di evoluzione fashion: a Beverly Hills Tod’s ha inaugurato il secondo J.P. Tod’s Club, che segue il fortunato esperimento milanese in via Della Spiga, luogo in cui poter acquistare i capi dell’omonima collezione sartoriale e ordinare calzature personalizzate gustando miscele di whisky, vini rari e speciali cocktail inventati appositamente per i clienti. L’accoglienza è paragonabile a quella degli storici club londinesi di Savile Row. Se bombette e bastoni hanno abdicato in favore dei famosi mocassini Gommino, la carta vincente si conferma essere il savoir-faire.