Levi’s prende le distanze dalla Cambogia e annuncia di aver ridimensionato, per l’anno in corso, gli ordini ai suoi fornitori nel Paese a causa dell’instabilità politica e della repressione dei diritti dei lavoratori. L’industria dell’abbigliamento cambogiana, il cui valore ammonta complessivamente a circa 5 miliardi di dollari (pari a 3,6 miliardi di euro), è stata duramente colpita dalle dimostrazioni che si sono susseguite a partire dalla fine dello scorso anno, quando i lavoratori hanno indetto svariati scioperi nazionali perché il salario minimo fosse aumentato da 80 a 160 dollari al mese. Rivolte che hanno lasciato anche una scia di sangue: lo scorso gennaio, le forze di sicurezza governative hanno aperto il fuoco sui lavoratori in rivolta a Phnom Penh, provocando la morte di cinque dimostranti.
A seguito di una riunione indetta lunedì scorso tra i maggiori brand internazionali che producono in Cambogia, tra cui Levi’s, Gap, H&M e Puma, è emerso che uno dei marchi aveva deciso di ridurre del 50% la propria produzione in loco. Ieri è arrivata la conferma da parte di Levi’s: è stata proprio l’azienda specializzata in denim a decidere di fare un passo indietro dal Paese per “ridurre i rischi per la catena produttiva e garantire le consegne”, aggiungendo che la stabilità politica e il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori sono “essenziali” per la società. “La continua repressione dei lavoratori e dei diritti umani in Cambogia è una seria preoccupazione per noi”, ha detto un portavoce di Levi’s riportato da Wwd, pur non confermando né smentendo la riduzione in valore delle esportazioni dal Paese.