Con la firma, a inizio marzo, della mobilità da parte dei lavoratori, si è chiusa di fatto la storia ultratrentennale della Gianfranco Ferré. Già nella settimana delle sfilate di febbraio, la griffe aveva segnato la sua prima assenza dal 1978, niente sfilate o presentazioni. E d’altra parte, in poche parole, non c’è più un marchio, né un direttore creativo, non c’è più una sede, venduta pochi mesi fa a Kiton, né una collezione o uno showroom. E i nuovi proprietari di Paris Group non danno segni di volontà di investimento. La vicenda Ferré, forse la più forte oggi in termini mediatici, non è l’unica. Perché gli intrecci tra moda e finanza, o il passaggio sotto il controllo di grande conglomerate asiatiche non sempre hanno decretato la fortuna dei brand italiani. E se qualche marchio sembra avere già chiuso i battenti, altri sono da anni in attesa di un concreto rilancio.
Nell’attuale numero di Pambianco Magazine, nell’approfondimento ‘Ferré… c’era una volta’, viene proposta la ricostruzione del declino della griffe dell’Architetto, e di quella serie di brand del made in Italy finiti nell’ombra. Dai marchi coinvolti con il disastroso fallimento di Fin.part, di cui è rimasto vittima principalmente Cerruti, a quelli dell’Ittierre (che ha danneggiato Romeo Gigli), alla disgregazione di Mariella Burani Fashion Group.