Il CEO di Condé Nast Italia promuove la diffusa “voglia di fare” del sistema. Uno scenario che accompagna al meglio il riassetto e riposizionamento digitale del gruppo editoriale.
Premiata la “rinnovata energia e voglia di tornare in auge di Milano”. Fedele Usai, dal primo settembre formalmente alla guida di Conde Nast Italia (ne era già direttore generale), non entra nel merito delle iniziative connesse a Milano XL, ma esprime un chiaro apprezzamento verso “operazioni di questo tipo che fanno comunque bene al settore e alla città”, e che sono testimonianza di una spinta “che arriva da tutti”. Il manager del gruppo editoriale ha presentato, qualche giorno prima dell’inizio delle sfilate, il nuovo Dna della galassia Vogue, una realtà ormai radicalmente trasformata nei protagonisti, nelle dinamiche, ma, soprattutto, nelle logiche imprenditoriali, ormai orientate al ‘capovolgimento’ degli equilibri a favore del digitale (vedi box nella pagina successiva). Condé Nast è al suo “anno zero”, lo definisce Usai, una sfida che ha bisogno di essere accompagnata dal risveglio di un sistema, la moda, e della sua capitale italiana, Milano.
Per Condé Nast, testate (cartacee) che chiudono, progetti digitali che si moltiplicano e spingono la moda verso nuovi scenari di comunicazione. è un anno zero?
Sì, questo può essere considerato un anno zero. Anche se non solo come inizio, ma anche come termine di un percorso. Un percorso che è passato attraverso la decisione di dismettere attività (L’Uomo Vogue, Vogue Bimbo, Vogue Sposa e Vogue Accessories, ndr) che non rispondono a cambiatissime esigenze dei clienti che vogliono piattaforme. E non si accontentano più di semplici estensioni della tradizionale carta stampata.
È un cambiamento profondo. Anche culturale, a vantaggio di nuovi strumenti: la Academy per le blogger, e la testata Lisa sviluppata solo per i social media. Ma che fine farà la carta?
La carta resta fondamentale. Siamo al secondo round di una battaglia epocale. Il primo, quello della diffusione, l’hanno vinto Google e Facebook. Ora, dopo la grande sbornia, è il momento della qualità. E in questa qualità la carta, e la pagina di pubblicità sul magazine cartaceo, gioca e giocherà un ruolo da pivot. Attorno al quale giocherà tutto il resto.
Si è spostato del tutto l’asse di rotazione del mondo della comunicazione.
Il piano industriale di Condé Nast Italia indica il digitale a quota 37% dei ricavi entro tre anni. Ma il mio obiettivo è più alto, ossia superare con il digital il 50% dei ricavi totali entro il 2020.
È più una sfida di numeri o di posizionamento?
Il percorso che abbiamo impostato punta a confermarci come player della comunicazione di qualità. Siamo usciti da attività che non rientravano nella nostra visione prospettica, e abbiamo investito di più in ambiti in cui siamo certi di avere un differenziale sui competitor. L’obiettivo è essere il benchmark nel nuovo mondo.
Il sistema moda è pronto?
A livello di cultura e di sviluppo digitale l’Italia fa più fatica di altri Paesi. Inoltre, non siamo un Paese celebre per la capacità di fare sistema. Ma le nostre competenze e creatività sono invidiate nel mondo, e saranno una carta importante anche nel digitale. La media azienda affronta questa nuova fase della comunicazione con la percezione di una necessità. Non è detto che ci sia una piena consapevolezza. Ma ciò che comprendono gli imprenditori è proprio l’importanza di comprendere, di imparare a muoversi in uno scenario soggetto a una disruption epocale.
E Milano? Come vede la città?
Negli ultimi due anni Milano è tornata di diritto tra le capitali internazionali e sta marcando la propria leadership assieme a quella dell’intera moda italiana che, in precedenza, era un po’ uscita dai radar. Si tratta di un risveglio che è nato dalla grande voglia di fare di tutti. Attorno alla Camera della moda rilevo un network di soggetti e di player che vogliono cercare nuovi modelli di ingaggio del pubblico. E questo, per un gruppo come il nostro impegnato in un riposizionamento strutturale, è un fattore di grande importanza.
E come giudica Milano XL. Anche questo è un ‘anno zero’?
Ognuno di noi ha una visione personale e parziale soprattutto in questi ambiti e anche la mia non prescinde da questa premessa. Non voglio entrare in una logica facilona del ‘si poteva fare meglio’ o del ‘mi piace’ o ‘non mi piace’. Credo invece sia importante sottolineare che operazioni di questo tipo fanno comunque bene al settore e a Milano. In termini strategici, è uno sforzo da apprezzare, anche perché porta la moda fuori dai soliti recinti per gli altrettanto soliti happy few. E coinvolge la città.
di Luca Testoni