Il native advertising ha trovato nei social media uno spazio di sviluppo finora senza limiti. Ma le authority hanno acceso i riflettori per garantire trasparenza.
Influencer a propria immagine e somiglianza. Nella battaglia a colpi di strategie social tra le case editrici, a calare l’ultimo asso è Condé Nast, che ha annunciato, durante il primo Convegno Netcomm-Pambianco di luglio, la creazione di una scuola di formazione per beauty influencer. Condé Nast Academy, in collaborazione con L’Oréal Italia e Università Bocconi, selezionerà 20 aspiranti influencer che, dopo un training gratuito di sei mesi, cureranno la creazioni e la pubblicazione di contenuti. Un tempo dalle due parti della barricata fashion, oggi alleati. Blogger e media oggi non possono fare a meno di collaborare: da un lato, per rilanciare la carta stampata nel mondo del digital e attirare nuovi investimenti, dall’altro per creare delle personalità di riferimento capaci di condizionare i comportamenti di migliaia di follower.
UN BUSINESS MILIONARIO
Come veri testimonial, gli influencer oggi sono il motore di molti degli acquisti realizzati. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma di influencer marketing Musefind, il 92% dei millennial tiene più in considerazione i consigli di un influencer rispetto a una campagna pubblicitaria o l’endorsement di una celebrity. Comprensibile, dunque, che il mondo dell’editoria non voglia rinunciare a un posto di rilievo in questo scenario. E come le aziende vanno a caccia di giornalisti per raccontarsi, non è da escludere, e l’iniziativa di Condé Nast sembra presagirlo, che un domani ci possano essere delle vere e proprie redazioni dietro i profili delle influencer. Per fare un post di successo non serve più solo l’immagine, ma anche un alto tasso di storytelling, da affidare a professionisti della comunicazione. In un mondo in cui le azioni di publisher, aziende e web star sono sempre più incrociate, è sempre più forte l’esigenza di una loro regolamentazione. Soprattutto considerando che, dietro molti dei migliaia di post pubblicati ogni giorno sul web, si nasconde un business milionario. A dirlo è l’azienda di social media analytics Captiv8, secondo cui le aziende spendono circa 255 milioni di dollari al mese per contenuti sponsorizzati solo su Instagram. In media, un influencer che conta tra i 50 e 500 mila follower, può chiedere 400 dollari per un tweet, 1.000 per un post su Instagram o Snapchat e 2.500 per un video su YouTube.
LE AUTHORITY VOGLIONO VEDERCI CHIARO
Pubblicità occulta o genuine raccomandazioni? È quello su cui stanno indagando le principali authority sulla trasparenza a livello mondiale. Prima a muoversi la Ftc (Federal trade commission) statunitense, che lo scorso anno ha ribadito la necessità di indicare, attraverso gli hashtag #ad o #sponsored, i contenuti frutto di una collaborazione, retribuita, con le aziende. Una presa di posizione che si è concretizzata con l’invio di una lettera a 90 tra celebrities, influencer e marchi, bacchettandoli sulla necessità di svelare le partnership nel segno della trasparenza. A ruota, sono seguite le linee guida delle britanniche Cma (Competition and markets authority) e Cpa (Committe of advertising practice), che sollecitano addetti al marketing, case editrici e retailer a essere sempre chiari sui propri rapporti con gli influencer. Sulla scia di queste richieste è arrivato il nuovo tool di Instagram specifico per gli sponsored post, finora testato sui profili della influencer Aimee Song e di BuzzFeed Tasty. A dare la percezione che il vento sia cambiato anche in Italia sono stati i primi post #ad di Chiara Ferragni, che ha contrassegnato in questo modo i contenuti nati dalle collaborazioni con Calzedonia e Tod’s. La blogger più famosa d’Italia ha anticipato di qualche settimana la presa di posizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha inviato una lettera a marchi e influencer obbligandoli a inserire hashtag come #pubblicità, #sponsorizzato e #prodottofornitoda in caso di post pagati dalle aziende. A chiudere il cerchio ora dovrà essere il Governo, chiamato a legiferare sul tema dopo l’approvazione alla Camera, all’interno del ddl concorrenza, dell’ordine del giorno presentato dall’onorevole Sergio Boccadutri, su sollecitazione dell’Unione nazionale consumatori.
di Alessia Lucchese