L’inconfondibile stile di Neil Barrett esordisce nel mondo kidswear.Il designer anticipa i punti salienti della collezione che debutta a Pitti.
Neil Barrett è il custode del black and white. Dal 1999, anno d’esordio del suo brand omonimo, lo stilista inglese riesce ad ipnotizzare la fashion crew con creazioni che hanno spesso per protagonisti i due non-colori accostati a tonalità sature, interpretati attraverso tagli netti, linee affilate come fulmini sulla passerella. L’incantesimo viene ora replicato anche in taglie mini grazie alla nascita della linea kidswear svelata durante l’85esima edizione di Pitti Bimbo. In vista della fiera fiorentina, il designer illustra a Pambianco Magazine la genesi della collezione primavera/estate 2018 realizzata in licenza con Manifatture Daddato.
Com’è nata l’idea di introdurre una linea kidswear?
L’introduzione del kidswear si inserisce all’interno di un progetto di espansione dell’universo del brand cominciato già da qualche tempo. Lo scorso inverno abbiamo lanciato una capsule di abbigliamento da sci, da poche settimane è stata introdotta sul mercato internazionale Blackbarrett (gym line in cui lo stile Neil Barrett è traslato in un guardaroba destinato al fitness) e ora è il momento del bambino.
Cosa cambia nel disegnare una collezione childrenswear rispetto all’adulto?
Desiderabilità e praticità sono al centro del mio approccio alla moda da sempre, quindi ho esteso la stessa filosofia al kidswear. La sfida è stata riflettere i codici del brand e al contempo creare capi immediati, leggeri e facili da indossare. Ovviamente, essendo destinati ad una clientela junior, l’immedesimazione con il consumatore non è stata istantanea.
La collezione viene influenzata dalle collezioni per l’adulto o segue una linea stilistica propria?
La collezione di debutto è sicuramente influenzata dal mio lavoro di questi ultimi anni ed è un prolungamento dello stesso pensiero. È composta dai capisaldi del guardaroba Neil Barrett, rivisitati per adattarsi all’universo estetico e alle esigenze dei bambini. In questa direzione, per esempio, si colloca la reinterpretazione del “thunderbolt”, che nel tempo è diventato una sorta di logo per il brand. Nel kidswear è stato trattato utilizzando colori vivaci, accentuando lo spirito di questa grafica dall’immediata riconoscibilità, restituendogli la sua connotazione pop.
Quali e quanti capi comprenderà?
La collezione di debutto sarà composta da quasi duecento capi, tra ready to wear, calzature e accessori. Felpe, t-shirt e pantaloni atletici costituiscono il core della collezione, ma è stato interessante reinterpretare anche i capi iconici dei “grandi”, come la giacca tuxedo e l’immancabile biker di pelle. Tutti contraddistinti dalla stessa attenzione ai dettagli e al comfort che caratterizzano le proposte per gli adulti.
Com’è nata la partnership con Manifatture Daddato?
La scelta di lavorare con Manifatture Daddato è stata dettata dal profondo apprezzamento per la loro expertise. È un’azienda con una lunga esperienza nel kidswear e la cura del dettaglio e l’attenzione alla qualità sono valori che condividiamo appieno. E poi ho visto in loro la capacità di interpretare il mercato ed individuare tendenze e novità.
Come e dove verrà distribuita la collezione childrenswear?
La collezione avrà una distribuzione worldwide, principalmente attraverso canali multi-marca specializzati e department store, e poi sarà presente anche in alcuni dei monomarca.
Come descriverebbe il bambino di Neil Barrett?
È un bambino immerso nella contemporaneità, è urbano e dinamico. È curioso ed esigente, ha un look distintivo, mascolino e minimale.
C’è stata una particolare fonte di ispirazione? I bambini stessi sono la mia fonte di ispirazione, mi affascina la loro capacità di creare mondi sempre nuovi attraverso il linguaggio semplice del gioco. In qualche modo, quando disegno una collezione il processo è simile. Seguo l’ispirazione e lavoro di sottrazione per arrivare all’essenza delle cose.
Che tipo di bambino era Neil Barrett?
Sono cresciuto nel Devon, tra il mare e la tipica campagna inglese. La mia è stata un’infanzia serena, principalmente all’aria aperta. Poi sono iniziate le mie incursioni nella sartoria militare di famiglia, ed è li, tra le forme marziali e austere delle uniformi, che è nato il mio interesse per la moda. Quando ho capito che quella sarebbe stata la mia strada, ho finito col passare il resto della mia infanzia tra i tessuti, affascinato dalle lavorazioni e ossessionato dal rigore di quei capi. Un ricordo della sua infanzia a cui è particolarmente legato. Più che ad un ricordo specifico sono legato ai luoghi della mia infanzia. Il Devon, con i suoi paesaggi e i cieli imprevedibili, è stato sempre presente nella mia vita e ha fortemente influenzato il mio lavoro. Con le mie ultime collezioni ho voluto rivisitare quei luoghi e rendere omaggio a quell’Inghilterra un po’ provinciale, nostalgica. La luce e i colori di posti come Mothecombe Beach (dove ho trascorso molte estati) sono indelebili nella mia memoria ed è per questo che ritrovarli oggi mi riporta subito a quando ero bambino.
Quali look sfoggiava da piccolo?
Come vede i bambini di oggi? Negli anni 70 in Gran Bretagna l’abbigliamento dei bimbi era principalmente pratico, direi a basso profilo. Salvo poche occasioni, i genitori prestavano poca attenzione ai vestiti dei loro figli e mettevano la funzionalità al primo posto: spessi golfoni sostituiti da polo in maglia nella bella stagione, calzoncini corti e resistenti e calzettoni lunghi in lana. Il mio look era sostanzialmente una sintesi del gusto dell’epoca. Per i bambini di oggi è diverso, sono molto più liberi. I genitori amano spendere per il look dei loro figli e li incoraggiano ad esprimersi anche attraverso l’abbigliamento, così il loro senso estetico inizia a delinearsi molto presto.
Che rapporto ha con i social network?
Sono convinto che abbiano contribuito alla democratizzazione del gusto e sono uno strumento che approccio con curiosità, ritengo che siano la bussola del cambiamento estetico dei nostri tempi. Nel bene e nel male.
di Marco Caruccio