È battaglia sugli occhiali di Kering e, nello specifico, sul luogo della produzione della gamma eyewear del colosso francese. E la battaglia, a prescindere dall’esito (e dalle ragioni in campo nel caso specifico), rischia di creare un precedente di grande risonanza sull’utilizzo della etichetta made in Italy, ponendo i presupposti per cause collettive contro chi ne abusa. Ad accendere le polveri, è stata Selima Optique, una boutique di occhiali di lusso con diversi negozi a New York e in Francia, che ha fatto causa a Kering Eyewear, società fondata nel 2016 dal gruppo francese per sviluppare in-house gli occhiali dei propri brand, accusandola di utilizzare la dicitura ‘Made in Italy’, ma di produrre i propri articoli in Cina. L’accusa mossa è quella di produrre le varie parti degli occhiali in Cina, per poi spedirle in Italia, dove vengono assemblate.
Kering ha respinto le accuse, affermando che “gli occhiali di lusso del gruppo Kering sono interamente prodotti in Italia ed etichettati in conformità con tutte le leggi vigenti”.
Selima Optique, che vende occhiali del gruppo tra cui quelli di Yves Saint Laurent, Gucci, Brioni, Tomas Maier e Stella McCartney, non solo commercia nel wholesale, ma produce anche una linea a marchio proprio. Per questa ragione, l’azienda ha accusato Kering di danneggiarla non solo in qualità di rivenditore, ma anche di competitor. Soprattutto, la causa parte dal presupposto che ci sia un danno per i consumatori in generale. Per questo motivo, Selima ha chiesto ai giudici di consentire ad altri soggetti (distributori, competitor e consumatori) di unirsi alla causa, trasformandola, di fatto, in una class action.
Stando alla legge italiana del 2009 sul Made in Italy, per essere caratterizzato come un prodotto ‘Made in Italy’, un articolo deve essere completamente fatto in Italia, a partire dalle operazioni di pianificazione, manifattura e packaging. La boutique è arrivata alla class action dopo che in ottobre ha ricevuto un prodotto Ysl che recava entrambe le diciture ‘Made in Italy’ e ‘Made in China’. All’epoca, Kering aveva attribuito l’accaduto a un errore, affermando che il ‘Made in China’ era riportato su un prodotto in realtà destinato agli occhiali di Puma, che sono fatti in Oriente.