Secondo il presidente di Moncler, le turbolenze valutarie e politiche stanno rendendo difficile ogni previsione sui consumi. La ricetta? Garantire esperienze di acquisto personalizzate, proporre contenuti e ‘seguire’ i turisti. Che saranno più cultural oriented.
La nuova sfida si chiama local. Se la volatilità rende i mercati imprevedibili, e il consumatore cambia a una velocità sorprendente, per un brand globale diventa fondamentale modulare la strategia a livello locale. Parola di Remo Ruffini, chairman e managing director di Moncler, che, intervistato al convegno Pambianco Deutsche Bank da Enrico Mentana, azzarda una previsione. Anche i turisti si stanno trasformando. E il futuro sarà il turismo culturale.
Moncler si è imposto nel tempo come global brand. Come siete riusciti?
Siamo partiti da una giacca a vento che usavo negli anni Ottanta, perfetta per le temperature basse. Ci siamo chiesti come renderla globale. Abbiamo lavorato su tecnologia, innovazione, peso. Questo ci ha permesso di avere il nostro retail, altrimenti impossibile con una sola collezione.
Guardando alla storia del marchio, qual è stata la scelta più forte?
Fare poche cose, ma fatte bene. All’inizio tutti mi spingevano a realizzare più prodotti. Noi abbiamo invece voluto mantenere una forte radice sul brand.
E l’errore?
All’inizio non abbiamo capito in tempo la necessità di stare vicino al cliente. L’abbiamo sperimentato solo aprendo i negozi. E poi la Borsa. La prima volta non è andata bene, la seconda invece sì.
Come si concilia il talento e lo spirito d’impresa con le esigenze dell’economia?
La finanza condiziona le scelte imprenditoriali soprattutto in questi momenti. I ricavi sono importanti, ma sono convinto che sia ancora più importante accompagnare un cambiamento forte che sta avvenendo. In certi mercati, per esempio in Corea dove siamo tornati recentemente alla gestione diretta, il focus non dovrebbe essere la crescita, ma il consolidamento. Le aperture dei negozi, poi, sono importanti ma meno che cinque anni fa. C’è una saturazione di mercato, il consumatore vuole altre cose. Credo che adesso si debba dare al cliente più un’esperienza di acquisto in ogni città. Non possiamo più proporre lo stesso negozio con la stessa offerta in ogni città. Si stanno trasformando i consumi e tutto sta avvenendo a una velocità estremamente sostenuta, ogni tre mesi. Guardiamo, per esempio, a quanto successo negli ultimi sei mesi: attentati, Brexit, Trump, la volatilità delle valute. Ma ci sono anche risvolti positivi: in Italia il post Expo sembrava dovesse portare a una diminuzione del traffico. Sbagliato, è cresciuto.
Quanto conta Milano?
Nel nostro settore conta. Credo però che il consumatore asiatico maturerà, e diventeranno strategiche anche altre città come Venezia, Roma o Firenze. Quanto influenzano a livello di contenuti i mercati asiatici? Una volta il consumatore asiatico aveva una sua cultura. Oggi, con la digitalizzazione, queste differenze sono diminuite.
C’è un’evoluzione nella comunicazione attraverso Internet?
Credo che l’energia e la velocità sia fondamentale. Si parla spesso di see now-buy now. Non mi convince. Penso che il cliente debba essere stimolato ogni mese con nuovi progetti e la comunicazione. E questo lo puoi fare solo online.
Qual è la vostra strategia nei confronti del consumatore?
L’importante oggi è lavorare su quello locale, indipendentemente dal fatto che sia a Shanghai o Milano. Il business travel è molto difficile da gestire.
Quanto è importante per voi il travel?
Dipende. In Cina non c’è turista, c’è solo mercato locale. In Europa il grosso sono turisti stranieri. In America lo erano. È tutto molto variabile e la valuta incide oggi molto sul business.
Come vede il prossimo anno?
La volatilità rende difficile fare previsioni. Non ci sarà più il boom dell’Inghilterra, ma l’Europa si sta dimostrando un mercato positivo. America e Giappone sono i due bacini più complicati. In generale, comunque, credo sia fondamentale la flessibilità a tutti i livelli come anche la logistica.
di Milena Bello