Prima c’era il magazine, poi il portale online, adesso le case di moda si chiedono come comunicare la propria immagine. I social impongono un approccio diverso.
Un tempo era il catalogo, poi era il magazine, poi ancora il sito. Adesso, le aziende sembrano giunte a un momento di crisi, che è al contempo problema e opportunità, circa le modalità di comunicare la propria storia e le loro novità. Da un lato crea scompiglio la nascita del native advertising (un innesto tra pubblicità e contenuto che cerca di generare interesse negli utenti), dall’altro il branded content assume sempre più spesso i contorni di articoli giornalistici sul sito web dell’azienda. Ma anche il sito, davanti all’incalzare dei social network e al fenomeno dei blogger, non basta più.
IN PRINCIPIO ERA IL MAGAZINE
La volontà da parte delle aziende di avere un’anima editoriale si ritrova a fare i conti con mezzi nuovi, da un lato, e con l’esigenza del pubblico di avere un prodotto di qualità, di ispirazione e di intrattenimento, che sappia distinguersi in un mare di offerte spesso disorientanti. Un compito arduo, a cui i brand non riescono sempre ad assolvere per mancanza di preparazione, mezzi e persone. Il brand, insomma, non sempre riesce a farsi medium. Le difficoltà, comunque, erano già emerse con gli house organ cartacei della fine degli anni 90. Da semplici strumenti di comunicazione ‘operativa’, questi magazine aziendali si erano sforzati di evolversi in testate editoriali. Con alterne fortune. Tra i pionieri, Emporio Armani, il cui magazine era stato uno dei primi e che però non esiste più già da parecchio tempo. Stesso destino per il giornale di La Perla. Altri magazine, invece di chiudere, hanno preferito traslocare sul web, come quello di Elena Mirò, il brand curvy di Miroglio. Casi virtuosi, invece, quelli di Hermès, che con il suo “Il mondo di Hermès” ha dato vita a un prodotto diventato negli anni un oggetto di culto, collezionato da molti clienti, grazie alla carta patinata, alle immagini esclusive e ale collaborazioni con fotografi sulla cresta dell’onda. Buona sorte anche per i magazine di Max Mara, Missoni, Geox e Benetton, che sembrano resistere all’onda d’urto che arriva dal web. In generale, comunque, i nuovi esperimenti riguardano l’online. Ma anche sull’online, le difficoltà non mancano.
OLTRE IL SITO
È il caso di Dolce&Gabbana, che a fine 2008 aveva lanciato Swide.com, “magazine digitale dedicato alla moda, al lusso e al lifestyle”. Un progetto che, nelle volontà del duo di stilisti e seguendo alla lettera la definizione di ‘branded journalism’, non avrebbe dovuto riguardare solo l’universo del marchio, ma tutte le anticipazioni e le tendenze su stile, viaggi, design, food e arte. A supporto del progetto, si leggeva nel comunicato del lancio, era stata addirittura creata una “redazione indipendente, costituita da un team internazionale con un solito background in comunicazione ed editoria”. Esperimento meritevole, ma mai pienamente riuscito: la storia di Swide si è conclusa lo scorso anno, quando il blog è stato assorbito dal sito ufficiale della maison, inglobato nella sezione ‘Discover’ direttamente collegata all’e-commerce. Un segnale forte di come distiguersi nella produzione di contenuti sia ancora un traguardo molto lontano per le aziende. Tra gli esperimenti degli ultimi tempi, i cui risultati potranno essere giudicati appieno soltanto in futuro, c’è Zalando con il suo “Appunti di Moda” – un vero e proprio blog di tendenza in cui non si parla soltanto del marchio – e Get The Look, il sito francese sul make up curato da L’Oréal. Ma l’impressione è che i marchi si stiano rendendo conto che fare giornalismo e, di conseguenza, produrre contenuti, è più complesso di quanto sembra e che anche il sito, adesso, da solo non basta più. Per realizzare un progetto sostenibile e perseguibile nel tempo servono content editor che realizzino testi, community manager che li trasferiscano sui social, grafici che li impaginino per il web. In sostanza, serve una redazione a tutti gli effetti. Un costo notevole, sia in termine di investimenti che di forze e di expertise. Motivo per cui spesso i brand si affidano a terzi, soprattutto blogger, per assolvere a questo compito e, soprattutto, per assicurarsi una presenza sui social network, vera leva di marketing.Sarà interessante, a questo proposito, scoprire quali saranno le prossime mosse di Burberry, da sempre un antesignano nel digital. Di recente il marchio inglese ha annunciato una prova di forza sui social, con l’intenzione di presidiare le prossime fashion week su un numero impressionante di piattaforme, tra cui Facebook, YouTube, WeChat e Snapchat. Per farlo bisognerà capire se formerà una redazione, se si appoggerà a qualche consulente esterno o magari proprio a una schiera di fashion blogger. Appurato che il brand ora fa anche l’editore, bisognerà scoprire l’identità dei suoi redattori.
di Caterina Zanzi