A causa della contraffazione, l’Italia perde ogni anno tra i 6 e i 7 miliardi di vendite, di cui circa 4,5 miliardi solo nell’industria dell’abbigliamento e delle calzature, con una conseguente perdita di una quota compresa tra i 60 e i 100mila posti di lavoro. E i valori si sono triplicati tra il 2013 e il 2015. È quanto è emerso nel corso del Luxury brand summit organizzato da Ul, gruppo specializzato nei temi della sicurezza, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della contraffazione che, sottolineano gli organizzatori, “è un reato nei confronti del quale spesso non c’è una vera consapevolezza”. Tra i temi trattati, anche quello della conformità normativa e della sostenibilità, con un approfondimento sul tema della campagna Detox di Greenpeace.
All’incontro hanno partecipato anche le autorità della dogana cinese di Shanghai, che hanno presentato un focus sulla situazione dei prodotti di importazione. “In Cina il valore dei prodotti di importazione è passato dai 4 miliardi di dollari del 2011 a a 6,5 miliardi di dollari del 2015 – ha spiegato Jiyan Duan, vicedirettore di Shanghai Ciq – e l’Italia pesa per il 9,21% dietro al Bangladesh che è il maggior importatore con il 13 per cento”. L’iter di ingresso delle merci nel Paese prevede diversi step di controllo conformità che spesso penalizzano i prodotti italiani. Secondo i dati delle autorità cinesi, infatti, ai primi posti per numero di casi di non conformità dei prodotti ci sono Bangladesh e Italia. “Attenzione alle etichette”, ha aggiunto Yue Wang, direttore del centro operativo del Tianjin textile fibre inspection institute, “perché la non conformità con le indicazioni previste dalla Cina è un problema molto ricorrente e rischiano di diventare target di professionisti che cercano di sfruttare le falle del sistema per ottenere un risarcimento dalle aziende italiane che esportano la merce in Cina”.