La moda non conosce barriere. Anche quanto le barriere hanno muri circondariali spessi un metro e le sentinelle che ci passeggiano sopra. Infatti, persino in prigione, con massimo isolamento dalla società – laddove è impossibile controllare gli ultimi scatti Instagram dello stilista più social, leggere la nuova marchetta della blogger più spericolata o accedere ai saldi dell’e-commerce più aggressivo – la moda fa proseliti. Oggi anche i detenuti vogliono essere fashion.
Oz, Prison break e Orange is the new black. Anche la fiction televisiva, negli ultimi anni, si è interessata ai prigionieri ambientando le sue storie in penitenziari abitati da protagonisti tutt’altro che pentiti; se poi aggiungiamo i thriller politici Scandal e House of Cards le carceri si popolano anche di innocenti vittime della corruzione.
Il fatto è che la moda, intesa come strumento di riconoscimento, qui assume il ruolo di strumento di difesa. Le gang che si formano lungo i corridoi dei penitenziari necessitano di un mezzo per distinguersi le une dalle altre, un segno, un tratto distintivo: le sneakers.
In questo gioco di squadre, Nike, Adidas e Converse sembrerebbero i marchi più desiderati. Il primo oggetto di cui viene derubato un nuovo carcerato sono le scarpe che indossa, soprattutto se si tratta di modelli sportivi. Amici e familiari dei reclusi pensano di fare cosa gradita regalando sempre nuove calzature; in realtà prende vita un vero e proprio mercato nero che si anima durante l’ora d’aria o le brevi conversazioni tra un turno di pulizia e l’altro. A ogni modello corrisponde uno status, un grado di prestigio cui ambire per primeggiare sul branco. Scontri, risse e colluttazioni possono esplodere da un momento all’altro per aggiudicarsi un paio di Nike Air Jordan. Tafferugli e minacce sono all’ordine del giorno.
Per evitare la bagarre, nel 2008 il New York Department of Corrections ha provato a fornire dei modelli standard prodotti appositamente per i detenuti vietando così l’utilizzo di qualsiasi altra calzatura. Dovendo provvedere a circa 13mila persone si è scelto un modello da 1,80 dollari al paio, a buon mercato. Ma le scarpe duravano troppo poco (al massimo un mese). Perciò, si è provato con scarpe da 3,80 dollari. La situazione è migliorata, ma i costi elevati hanno portato alla necessità di ammettere nuovamente sneakers personali.
Quindi, la soluzione estrema. Al riprendere della cayenna di moda, è arrivato l’ultimo provvedimento: vietare tutti i marchi tranne uno solo, Puma. La suola vulcanizzata presente in alcuni modelli prodotti dal brand tedesco assicura l’impossibilità di inserire coltellini, droga o altre armi al suo interno.
La scelta di ammettere un unico marchio ha complicato l’identificazione tra prigionieri diminuendo sostanzialmente gli scontri dovuti al look. Il fatto che Puma non fosse tra i brand più desiderati dai fuorilegge ha reso l’operazione meno complicata di quanto potesse apparire.
Dunque, Puma (gruppo Kering) diventa una sorta di monopolista dentro il New York DOC, un mercato dove l’amministrazione carceraria gestisce le barriere all’uscita. E, in fatto di moda, anche quelle all’entrata.