“Questo doveva essere il secolo del sesso e invece è quello della cucina”, disse qualche anno fa durante un’intervista Paolo Poli. L’attore italiano aveva poi aggiunto: “Accendi la tivù e sono lì che sbattono, infornano. E poi la cosa più odiosa è quando si mangia e senti uno che dice: ‘Vedi prima ho messo a crudo l’aglio, poi ho tolto la cipolla e da ultimo il pomodoro’. E l’altro: ‘Ah, perché se lo metti prima, ahi ahi ahi!’”.
Poli, in effetti, ci aveva visto bene, identificando una tendenza allora in nuce, ma che negli ultimi tempi ha avuto effetti dirompenti. Non solo nel palinsesto televisivo, nel quale imperversano programmi attinenti alla cucina, per giunta condotti da chef diventati dei sex symbol a tutti gli effetti per molte donne (e, verrebbe da dire, anche per altrettanti uomini). La propensione a esaltare la funzione della cucina è evidente anche nella quotidianità. I social network traboccano di immagini di cibi ripresi da ogni angolazione. Il verbo ‘impiattare’ è ormai più usato degli ausiliari della lingua italiana: essere o avere. I blog di ricette sono più cliccati dei siti delle agenzie giornalistiche. E fioccano gli inviti a cena tra amici che vogliono sentirsi dei novelli Cracco.
L’epoca dei ‘gastroestetismi’ sta vivendo un periodo di grande fortuna e porta con sé, oltre a interminabili photogallery di melanzane alla parmigiana, anche richieste sempre più ‘capricciose’. Invitare gli amici a cena, in effetti, non è mai stato così difficile. Le ossessioni inerenti al food si snocciolano in una lista pressoché infinita. C’è chi vuole tutto crudo, chi si dichiara intollerante nei confronti di svariate categorie alimentari, chi è vegetariano (o, in alternativa, vegano) e chi senza chilometro zero proprio non sa vivere. Stare a tavola è diventato un vero e proprio gesto sociale, culturale e, verrebbe da dire, politico.
Se accogliamo il postulato di Feuerbach secondo il quale siamo quello che mangiamo, è facile capire come il cibo sia diventato uno degli elementi che ci descrivono meglio.
Identificare le tribù alimentari, poi, si è fatto compito arduo. I cosiddetti ‘foodies’ nutrono le proprie ossessioni in modalità quasi contrapposte. Ci sono i cosiddetti ‘crudisti’, coloro che rifiutano tutto ciò che sia stato anche solo bollito, che si aggiungono ai vegetariani e ai vegani (a distinguerli, il fatto che questi ultimi rifiutano ogni prodotto di origine animale, compresi latticini, uova e miele). Ci sono i ‘cavernicoli’, a indicare chi tende a cibarsi come uno dei nostri antenati, negandosi tutti gli alimenti arrivati in una fase successiva dell’evoluzione umana. Ci sono gli ‘eticamente corretti’ che respingono categoricamente gli animali a rischio di estinzione, come il tonno, o quelli cresciuti in allevamenti intensivi, tra cui le anatre e le oche.
A tavola, e non solo, il cibo è diventato un pensiero dominante. E il feticismo alimentare che ne deriva oltre a trasformarsi, sempre più spesso, in una pericolosa ortoressia, rende di fatto impossibile un invito a cena senza capricci. Sarà forse che il nostro frigo è troppo pieno?