Viste dall’alto, da molto in alto, le metropoli appaiono come ovattate. Luci, suoni e movimenti si affievoliscono, offrendo allo spettatore occasioni di meditazione: lassù tutto sembra lontano, diverso. L’eccitazione si fa contemplazione dell’impronta umana impressa sul pianeta, dei monumenti e delle grandi cattedrali. La rifrazione delle onde sonore sottrae al traffico quella dimensione simil-infernale che assume a terra e gli conferisce un aspetto quasi ordinato, lieve. Domina la luce, all’orizzonte si stagliano le montagne innevate o l’infinito azzurro del mare, l’occhio si perde tra le vette delle case cogliendo particolari inaspettati.
Welcome to the rooftop. È uno spazio talmente bello e suggestivo, quello all’ultimo piano degli skyscapers, da aver indotto gli uomini a consumarvi la più gradita delle azioni quotidiane: mangiare. Cenare al ristorante Sirocco o degustare un aperitivo al suo Sky Bar, 64° piano della State Tower di Bangkok con vista sui templi buddisti, costituisce una delle tappe immancabili di un viaggio in Tailandia: qui si trova il più grande ristorante open air del mondo. Esperienze altrettanto incantevoli si possono vivere a Mumbai (Aer dell’Hotel Four Season) e Hong Kong (Ozone dell’Hotel Ritz, 118° piano), Tokyo (New York Grill dell’hotel Park Hyatt) o Shanghai (Char dell’Hotel Indigo). La tendenza, lentamente, si fa strada anche a Milano, quasi a volerne sfidare la nomea di città grigia, il luogo comune della nebbia e del suo cielo tinta panna.
Non avete idea, cari milanoscettici, di quanto possa essere vasto l’orizzonte milanese, in una giornata limpida, osservando il Duomo dall’alto in basso. E se l’emozione indotta dalle dimensioni urbane non regge certamente il confronto con le megalopoli asiatiche o con la sensazione di globo-centralità che offriva il celeberrimo “Windows of the World” al 107° piano della Torre Nord di Manhattan, che ispirò lo scrittore Frédéric Breigbeder, Milano può comunque vantare due plus caratterizzanti, in grado di richiamare frotte di enogastroturisti sugli ascensori destinati ai suoi roof restaurant: legame con la moda e Italian food.
“La terrazza e le piscine con vista rimandano ad altri cieli, come quelli di New York e Hong Kong, ma l’ospitalità e il cibo sono del tutto made in Italy” racconta Marco Civitelli, uno dei soci amministratori del ristorante Ceresio 7, creato in cima allo storico palazzo Enel griffato Dsquared2. L’altra firma, in cucina, è quella di Elio Sironi, chef brianzolo dal curriculum nobile (executive chef per sette anni al Bulgari). La vista al tramonto del nuovo skyline urbano dal tetto del building di via Ceresio fu per tutti una “folgorazione” e i soci decisero che lì in alto sarebbe sorto un ristorante d’eccellenza, location top e cucina top. “Vetro e acciaio, riflessi fluidi e giochi di luce spettacolari, una scena che pochissime location a Milano possono vantare, molto internazionale, meno territoriale e tradizionale. L’obiettivo è stato da subito creare un nuovo (per l’Italia) concetto di ristorazione: design, vista, posizione ed esclusività uniti ad una offerta autentica di cucina italiana di alto livello. La novità sta nell’atmosfera”, spiega Civitelli. Ristorante per turisti? Tutt’altro, è frequentato in maggioranza da milanesi e italiani con una clientela fidelizzata, che vi cena anche tre volte a settimana. Gli stranieri sono il 35%: scandinavi, tedeschi, olandesi e britannici, con una quota significativa di brasiliani e argentini. “Grazie anche ai nostri soci di Dsquared2 riceviamo diversi clienti asiatici, perlopiù giapponesi e coreani. In chiave minore le presenze di statunitensi e russi”. L’offerta è integrata da un bar frequentato quasi esclusivamente da ospiti italiani in età tra i 30 e 45 anni.
Il panorama (in tutti i sensi) della ristorazione ad alta quota si sta ampliando grazie ai nuovi building, tra i quali spicca a San Babila quello acquisito da Brian&Berry che ha assoldato al ristorante Asola l’ottimo chef Matteo Torretta. Nessuna novità, per ora, dal fronte Porta Nuova, dove gli skyscrapers in fase di completamento stanno rivoluzionando l’assetto urbano.
Al rilancio della ristorazione “d’alta quota” ha contribuito in maniera decisiva Unico Milano, la “stella Michelin più alta d’Europa”, situato al ventesimo piano del World Join Center in posizione strategica (zona Portello, all’imbocco della Milano-Laghi) e affidato allo chef Felice Lo Basso. “La location scelta – spiega la proprietà – è stata un ‘colpo di fulmine’, un’emozione a 360 gradi come la vista che si gode dalle vetrate. Alla sera la città si illumina, dando la parvenza di un paesaggio quasi newyorkese; sullo sfondo svettano i grattacieli e lo splendido dorato Duomo di Milano. Un’atmosfera decisamente elegante, ma anche una fonte d’ispirazione per lo chef”. La clientela è un mix di habituè, businessmen stranieri e gourmet internazionali destinati ad aumentare durante Expo 2015, quando Unico Milano diventerà sede ufficiale dell’associazione Charming Italian Chef, ospitando professionisti internazionali della cucina per eventi a tema e collaborazioni a quattro e a sei mani diretti da Lo Basso.
Nel cuore della moda, ecco la firma più prestigiosa della ristorazione on the roof: è quella di Giorgio Armani, che in vetta all’edificio in stile razionalista di via Manzoni 31 (fu progettato nel 1937 da Enrico A. Griffini) ha creato l’Armani/Ristorante, completando l’offerta dell’Armani Hotel Milano, che fa parte di un progetto di hotellerie e resort avviato in collaborazione con Emaar Properties, società di real estate di Dubai.
“Mi sono concentrato su ciò che volevo offrire seguendo la mia personale visione dell’estetica e un’idea precisa del comfort”, dice lo stilista. La cucina si ispira alla tradizione gastronomica italiana e gli appassionati hanno la possibilità di cenare al “tavolo dello chef”. Completano l’offerta ad alta quota l’area Armani/Lounge, con il suo maestoso panorama, e il versatile Armani/Bamboo bar dove si possono consumare quick lunch, degustare vini, afternoon tea o un aperitivo squisitamente milanese.