Fa un certo effetto entrare alle Galeries Lafayette, tempio parigino dello shopping, e trovare in vendita il chinotto Lurisia. Individuare il locale più cool di Manhattan per sentirsi proporre dal barman asiatico pluripremiato un cocktail a base di cedrata Tassoni. Ottenere l’invito da Rocca a Milano per la presentazione della nuova collezione di gioielli e sorseggiare la “storica” spuma di Paoletti. È l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, con le sue etichette vintage dai colori pastello e grafica retrò, a tornare prepotentemente in auge, anche all’estero.
“Andiamo avanti proprio perché siamo tornati indietro”. Commenta così Piero Bagnasco, dirigente del gruppo Eataly (di cui fa parte il brand Lurisia) che, partendo dalle acque minerali, si è dedicato alla riscoperta di quei soft drink su cui si fondava l’offerta dei bar nell’Italia del miracolo economico, poi gradualmente sostituiti da marchi e prodotti controllati dai colossi del beverage. Spuma, chinotto, cedrata e gassosa finirono dimenticati in qualche angolo del magazzino, soppiantati dalla comodità della scelta ridotta e della somministrazione tramite “spina”. Addio vetro, largo ai fusti.Oggi il cliente vuole di più. Riscopre il fascino della bottiglietta e con essa il contenuto “tipico” che deriva dall’utilizzo, da parte di Lurisia, del limone Sfusato di Amalfi per la produzione della limonata e della gassosa, delle arance del Gargano, del chinotto di Savona. Eataly assorbe il 35% di una produzione annua che non supera i 15 milioni di bottigliette. “Ma siamo presenti da circa un anno in Inghilterra da Selfridges, stiamo concludendo con All Food e non disprezziamo affatto la grande distribuzione, da Coop a Esselunga”, sottolinea Bagnasco, che rifiuta l’appellativo “nicchia” per questi prodotti. “Li vendiamo a prezzi accessibili, senza farci prendere dallo stress delle quantità, e in più permettiamo a giovani agricoltori di rilanciare produzioni tipiche dei loro territori. Sono progetti etici sostenuti per dimostrare che possiamo essere furbi senza per questo diventare disonesti”.
Chi è il consumatore-tipo delle bibite vintage? Elio Accardo, direttore commerciale e marketing di Cedral Tassoni, non ha dubbi: lo definisce evoluto, acculturato, alla ricerca di un prodotto naturale e particolare. La scelta dell’azienda di Salò, duecento anni di esperienza acquisita e il cui brand incarna l’idea stessa di cedrata, è consequenziale: sponsorizza eventi culturali, associazioni per la tutela del paesaggio (è il caso del Fai) ed eventi radicati sul territorio in cui opera. “Il vintage – aggiunge Michela Redini, presidente della società – piace al cliente finale perché dà sicurezza; garantisce tradizione, continuità e naturalezza del prodotto. Il fenomeno si sta sviluppando ovunque e va cavalcato. Per gli americani, ad esempio, l’idea di acquistare una bibita con una storia famigliare di cinque generazioni alle spalle li fa letteralmente impazzire”. Intanto, in Tassoni giungono richieste di prodotto da tutto il mondo, Australia compresa.
Lo stesso accade alla Paoletti, le cui bibite (spuma, gassosa, chinotto e altre ancora) ora si possono acquistare anche a Dubai e Abu Dhabi. “Per entrare nel mondo arabo abbiamo modificato l’etichetta – racconta Giancarlo Paoletti, presidente della ditta fondata nel 1910 ad Ascoli Piceno – perché la nostra ragazza a braccio scoperto non sarebbe stata tollerata: l’abbiamo dovuta coprire”. Le loro bevande si sono diffuse a livello internazionale grazie alla ristorazione italiana presente a Hong Kong, in Australia e Nuova Zelanda, negli Stati Uniti e naturalmente in Europa. Il tutto è accaduto in maniera piuttosto naturale, esattamente come avvenne anni fa per Eataly, prima rete di negozi a lanciare questi soft drink in diretta concorrenza con quelli del marchio di proprietà Lurisia. “Il prodotto parla da solo – sostiene Paoletti – e il consumatore, che sa distinguerne la qualità, lo premia. In più, dati i tempi, preferisce i marchi diventati dei ‘classici’, dalla Nutella alla Vespa, alle bibite Paoletti”. Il brand, per quanto piccolo (1,5 milioni di bottigliette l’anno), fa gola e i pretendenti di conseguenza non mancano. “Abbiamo ricevuto – racconta – proposte di acquisizione da parte di gruppi italiani e stranieri, ma non molliamo. Se abbiamo resistito alla fine degli anni Settanta, quando tutto sembra finito… Ora è giunto il nostro momento e lo vogliamo sfruttare”. Tra le novità è in arrivo una birra artigianale.