Dominus incontrastato delle aziende negli anni Novanta, poi costretto a convivenze difficili con manager forti. Oggi, la figura dello stilista sembra entrare in una nuova fase, quella del ‘creative & executive officer’, inaugurata con la nomina di Christopher Bailey al timone di Burberry. Questa evoluzione del ruolo del direttore creativo è il tema del dossier ‘Stilisti al potere’, nel numero in uscita di Pambianco Magazine.
La decisione di Burberry ha stupito gli addetti ai lavori, inclusi gli analisti finanziari, scettici sul concentrare la gestione creativa e manageriale in una sola persona. Di diverso avviso altri esperti del settore, convinti delle capacità di Bailey in tutti gli aspetti del business.
A conferma dell’accresciuto potere contrattuale dei direttori creativi, nonché della loro attitudine imprenditoriale individuale, vi sono anche la joint venture ‘strappata’ per il suo marchio da Tomas Maier a Kering e, in generale, gli investimenti che di recente Lvmh e la stessa Kering hanno messo in campo per diversi designer brand emergenti, come Jw Anderson e Christopher Kane. Un altro tipo d’investimenti è poi quello che i colossi del lusso hanno attuato sull’immagine dei direttori creativi, per creare una connessione positiva tra loro e i brand, e farli diventare quasi delle ‘rock star’.
In questa evoluzione, l’Italia sembra giocare un ruolo a sé stante. Per il fashion tricolore, l’accentramento del potere nelle mani dello stilista-imprenditore, che è spesso direttore creativo, manager e al tempo stesso proprietario, o parte della famiglia proprietaria della griffe, assume un connotato negativo. Toglie, infatti spazio e opportunità ai giovani designer.