Se un commento si può fare, senza timori di smentita, sull’ultima settimana delle sfilate milanesi, è che la manifestazione ha segnato un punto di discontinuità con il passato recente. Evitando di entrare nel merito della qualità stilistica delle sfilate, la fashion week ha registrato un mood di ottimismo che non si percepiva da anni, e un senso di condivisione e partecipazione – dalla Camera Moda alle singole aziende, fino al sorprendente grande impegno del Comune – cui Milano non era abituata. Tutto questo, sostenuto da una serie di eventi che hanno ricordato i fasti di fine millennio.
In questo riaccendersi delle luci della città, spicca un soggetto che si è ritagliato buona parte della ribalta. Si tratta del gruppo Condé Nast, editore di Vogue (oltre che di una lunga lista di patinati di successo), il quale ha messo la firma su oltre una decina di eventi. Una media di due al giorno, in qualità, alternativamente, di organizzatore, sponsor, promotore o media partner. Uno sforzo che, anche per il colosso a stelle e strisce, pur sempre molto presente alle week meneghine, non aveva precedenti.
Eppure, la stella di Vogue ha deciso di accendersi in un periodo in cui la crisi si è fatta sentire per la prima volta anche nella corazzata Condé Nast Italia che ha infatti avviato una ristrutturazione aziendale. Questo è un aspetto interessante, soprattutto in paragone al comparto editoriale nazionale, il quale si è fatto notare, nel corso della settimana della moda, per una sconsolante e totale assenza. Un’assenza che rivela come le strategie degli editori domestici, in termini di taglio di costi e investimenti, non siano selettive e colpiscano la moda, tuttora uno dei loro settori principali per la pubblicità, quanto altri settori assai meno munifici e d’immagine.
Gli americani, viceversa, sono andati controcorrente spingendo sugli investimenti. Un fatto da rimarcare ancor più se si ricordano recenti posizioni non proprio lusinghiere su Milano da parte di Anna Wintour, la numero uno di Vogue America. La potentissima direttrice newyorkese che ha ispirato il film “Il Diavolo veste Prada”, evidentemente, ha cambiato idea esprimendo ora aperti apprezzamenti nei confronti della fashion week italiana. La ragione di un simile cambio di rotta forse va letta nella presa di coscienza che lo splendore della settimana della moda milanese sia un fattore determinante anche per i conti dell’azienda Condé Nast in Italia. Considerazione cui va aggiunta una particolarità tutta milanese: in campo non sembrano esserci altri soggetti in grado di investire. Non ci sono, come detto, altri editori. Ma non ci sono nemmeno l’istituzione pubblica (gli enti locali) e le istituzioni private, ovvero la Cnmi, almeno fino all’anno prossimo, quando il nuovo AD Jane Reeve avrà a disposizione un budget più che triplicato da investire su nuovi progetti, soprattutto online.
Perciò è lecito augurarsi che le luci della città mantengano una certa indipendenza dai riflessi a stelle e strisce.
David Pambianco