Il calo delle vendite in Cina e sud Europa e la debolezza dello yen in Giappone fanno da zavorra ai conti di Puma che archivia il secondo trimestre dell’anno con una pesante scia di segni rossi. Calano le vendite, ferme a quota 692 milioni di euro in calo del 4% e crollano tutti gli altri parametri, dall’utile operativo passato da 47 a 31 milioni di euro (-34%) mentre il risultato netto è sceso a 18 milioni (-34,4%) dai 27 dell’analogo periodo dello scorso anno. Nei sei mesi il fatturato è diminuito del 6,3% a 1,47 miliardi di euro (-6%), l’ebit si è attestato a 110 milioni di euro (-26%) e l’utile a 68 milioni (-33%). Si tratta di numeri in linea con le attese del gruppo, spiega Puma in una nota, dovuti a un piano di trasformazione e riduzione dei costi, e di revisione della distribuzione con la chiusura di store indiretti non produttivi. Le vendite sono scese di ben sette punti percentuali in Asia-Pacifico. Il turnover scende in Cina, dove Puma è ancora lontana da scalzare Nike dalla sua posizione di leader del mercato sportswear e in Giappone, area che rappresenta poco più del 10% delle vendite, dove Puma, per mitigare lo yen debole, ha seguito le orme di altri big come Apple e Tiffany e ha aumentato i prezzi. Giù anche le Americhe (-1,3%) e l’Emea (-4,7%). A livello merceologico, il business principale del footwear ha registrato un -7%, mentre l’abbigliamento ha subito un -6,8% mentre crescono gli accessori (+10,9%). Confermate le previsioni di fine anno con un calo delle vendite compreso tra l’1 e il 5 per cento.