Anche il distretto della calzatura della Riviera del Brenta, tra Venezia e Padova, parla ormai cinese. In dieci anni, si sono moltiplicate per sette le aziende con radici oltre la Grande muraglia.
Insomma, si sta assistendo a una profonda evoluzione del settore calzaturiero che ha fatto la fortuna della zona e vale un terzo del prodotto interno lordo della provincia di Venezia. Un cambiamento che non tocca tanto i ricavi (produzione e fatturato tengono: quasi 20 milioni di scarpe e 1,65 miliardi di euro nel 2011 contro i 21 milioni di paia e 1,68 miliardi nel 2001), quanto il numero di calzaturifici (in flessione del 14% rispetto a dieci anni fa) e in particolare quello dei tomaifici, a -19%, da 412 a 333.
Ma, appunto, sono proprio le imprese orientali a rappresentare il cambiamento più radicale: basti considerare che la presenza di aziende con un titolare o un socio di nazionalità cinese è cresciuta del 566,7% dal 2000 al 2012, ovvero dalle 30 imprese di allora alle 200 di oggi. La situazione è simile a quella di altri distretti italiani, come Prato, dove vive una tra le comunità cinesi più popolose d’Europa