“Crescita zero è un concetto che ormai spiega poco e niente. Anzi, nasconde molte cose. Non ci fa vedere come un pezzo dell’offerta italiana, quella capace di produrre valore aggiunto, si sia addirittura rafforzata. A scomparire sono state, invece, le aziende e le produzioni che non reggono la competizione con i nuovi Paesi produttori”, racconta Innocenzo Cipolletta che ha appena ultimato un’indagine sui processi di ristrutturazione dell’industria italiana in un’articolo apparso sul Corriere della Sera di domenica. Dalla sua, anche Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, è convinto che a determinare la forza dell’offerta italiana sia la struttura di filiera che ci rende più continui dei francesi, specializzatisi invece nel retail. L’economia di filiera sembra così essere l’ italian way per reggere alla crisi perché garantisce specializzazione continua assieme a flessibilità organizzativa.
Secondo uno studio della società di consulenza milanese Pambianco Strategie di Impresa ci sono una cinquantina di società quotabili del settore moda-abbigliamento e quasi tutte hanno un proprietario unico che coincide con il fondatore. Godono di ottimi brand, macinano utili e stanno attraversando la tempesta convinti di farcela, tanto che le banche d’affari li corteggiano per accompagnarli in Piazza Affari
Altre sorprese arrivano dai distretti. Al primo posto di questa speciale classifica stilata dal Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo c’è il distretto della pelletteria e delle calzature di Firenze, cresciuto rispetto al 2008 del 24,5%, 450 milioni di euro in più. Griffe come Gucci, Ferragamo, Prada producono qui a conferma di una tradizione di eccellenza dovuta a competenze artigianali, qualità dei materiali e ricerca stilistica. Dopo Firenze spunta l’oreficeria di Valenza, in provincia di Alessandria. Il numero delle imprese è calato in questi anni ma il distretto è cresciuto, si sono salvati quelli che hanno continuato a credere nell’azienda e investito in tecnologia. Risultato: i grandi marchi continuano a comprare a Valenza. Anche i vini delle Langhe, Roero e Monferrato, hanno venduto nel 2011 ben 200 milioni di euro in più rispetto agli anni pre-crisi e precedono le macchine per l’imballaggio di Bologna, che si possono tranquillamente consolare visto che hanno sfondato in Cina, diventata il loro mercato più importante.
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