E' stato il padre riconosciuto del marketing, Philip Kotler, a teorizzare che le persone possono essere gestite come dei marchi. Negli ultimi tempi, accanto ai personaggi chiave individuati da Kotler (manager, politici e professionisti) sono spuntati calciatori, gente della tv e assimilati.
I più svelti sono riusciti a fare quattrini proprio trasformando il loro nome in un �brand�, esattamente come teorizzato da Kotler. Un esempio? Il profumo lanciato da Jennifer Lopez, con il marchio �J.Lo�, è il più venduto tra tutti gli articoli analoghi �prodotti� dallo star system hollywoodiano, oppure la linea di abbigliamento realizzata da Penelope Cruz per Mango o l'esperienza di Micheal Jordan con Nike.
�Da noi, come oltreoceano, ormai c'è la tendenza a brandizzare tutto� nota Giampaolo Fabris, docente universitario e presidente del comitato Scientifico di Gpf (gruppo Reti). Il brand, continua Fabris che ha appena finito di scrivere per Egea, la casa editrice della Bocconi, il libro �Societing: il marketing nella società postmoderna� offre oggi �autorevolezza e credibilità , anche se rispetto a qualche anno fa il meccanismo non è più l'identificazione, ma piuttosto quello del �goodwill�, la simpatia che il personaggio riverbera sul prodotto, un meccanismo trainante soprattutto per i piccoli e medi produttori che sfruttano l'occasione del momento e vivono il loro momento di notorietà. Il rischio arriva quando la brandizzazione viene applicata a personaggi di basso profilo, alla ricerca estrema di visibilità. Se e quando vanno oltre le righe, per il brand scatta l'effetto boomerang a carico dell'azienda, con il rischio di mandare a monte fior di investimenti�.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 5/04/08 a cura di Pambianconews