La prima volta ci avevano pensato nel 2002. Già allora la strada verso il listino era segnata per Patrizio Bertelli e Miuccia Prada. Ma hanno aspettato fino a oggi per arrivarci davvero: la quotazione di Prada è attesa nel 2008, quando i debiti saranno scesi a circa 500 milioni, contro 640 milioni del 2006 e 1,37 miliardi del 2002. E proprio come sulle passerelle, sembrano dettare una moda, questa volta finanziaria.
Dopo Aeffe, Piquadro e Damiani, che in Borsa sono arrivate da pochi mesi con alterne fortune, altre griffe del made in Italy progettano la quotazione per crescere. E hanno come obiettivo il 2008. In fila si sono già messe Ferragamo, Versace, MorellatoSector, Yamamay, che creerà una holding apposita dove confluirà anche il marchio Carpisa, e Ferretti, che dopo una quotazione e un delisting vuole tornare. E c'è chi dice che anche Roberto Cavalli e Dolce&Gabbana subiscano il fascino della quotazione.
Lo sbarco in massa della moda in Borsa sembra avere il sapore dell'ultimo treno da prendere. Il motivo, però, non è quello di mettere a posto i bilanci. «Quotarsi è la strada più semplice per avere denaro, molto denaro, a disposizione per essere competitivi sui mercati internazionali», dice Carlo Pambianco, Presidente di Pambianco Strategie di Impresa, società di consulenza specializzata nel settore moda e lusso. «Le risorse finanziarie di cui hanno bisogno sono nettamente superiori a quelle che hanno potuto raccogliere in passato con prestiti bancari o emissioni obbligazionarie».
Per gli investitori sarà un buon affare? Fino a metà 2007 le aziende del settore hanno beneficiato di un mercato forte, ma le quotazioni non hanno premiato gli investitori, anche se a livello globale il lusso dal 2002 a oggi è cresciuto del 150% in Borsa. Secondo Merrill Lynch, il primo trimestre del 2008 potrà essere ancora difficile, mentre nel medio periodo il settore tornerà a dare forti soddisfazioni. Nell'immediato, però, le valutazioni delle società non saranno stellari. Il punto è capire se le aziende che si apprestano a sbarcare in Borsa le accetteranno.
Le società sembrano aver capito che è meglio arrivare sul listino con una valutazione più contenuta. La prova è nei numeri. Aeffe, Damiani e Piquadro sono state valutate meno di nove volte il rapporto tra valore d'impresa e margine operativo lordo.
Questi multilpli hanno cominciato ad attirare l'attenzione anche dei private equity, da sempre un po' diffidenti verso il mondo della moda. «Fatto 100 il numero di operazioni di private equity nella moda, il 40% circa è stato fatto negli ultimi due anni» dice Pambianco «e i risultati si vedranno solo tra almeno tre anni».
Il rapporto tra i grandi investitori finanziari e le imprese del lusso, del resto, non racconta per il momento storie di grandi successi. «Spesso i fondi entravano nel capitale con l'obiettivo di comandare, pensando che bastasse avere competenze finanziarie per far funzionare l'azienda, ma non è così e i casi di Sector e Bruno Magli ne sono la prova» continua Pambianco. Adesso il private equity ha cambiato mentalità e punta di più sull'imprenditore, accollandosi il rischio che il valore della società possa cambiare se una collezione non è riuscita o se lo stilista decide di cambiare aria. E qualche successo è arrivato. è il caso di Poltrona Frau, che dopo una crescita tramite private equity ha fatto il salto in Borsa, o di Valentino fashion group che dopo l'acquisizione da parte del fondo Permira ha detto addio al listino, ma ci tornerà nel giro di un paio di anni.
Estratto da Economy del 6/12/07 a cura di Pambianconews